L'acero

L'acero

Dalla finestra della cucina vedo un acero. Per gran parte dell’anno non fa altro che restar lì, tra un breve stormire e un pigro sgocciolare (quando pioggia lo permette). Se c’è neve, a essa si inchina; se si alza il vento, agita i rami in una danza scomposta. Nei pomeriggi afosi che incollano il tempo, è la cosa più immobile delle cose immobili: non una foglia si muove, neppure per sbaglio.
Non è un acero, insomma, che dia grandi soddisfazioni. Poco partecipa  alla vita sociale del circondario. Mai che lo abbia visto scambiare una parola con qualcuno. Non sappiamo per chi vota, da dove viene (se mai viene), di che cosa si occupa e quali sono le sue opinioni in fatto di economia, cultura, sport e tempo libero. Come albero di compagnia è un disastro: neppure lo si può considerare un buon produttore di ombra perché le sue frasche sono troppo basse. Nella sua infinita indolenza, a dire il vero, qualcosa fa: attira insetti. Moscerini, soprattutto. E anche ragni e qualche mosca.
Eppure, per pochi giorni soltanto, in autunno, la storia cambia. All’improvviso orgoglioso, l’acero concentra il suo talento in uno spettacolo di colori: le foglie si accendono nei rossi delle fiamme, del sole giovane, degli agrumi maturi.
Solo ora mi rendo conto che non posso parlarvi di un acero. Questa rubrica dovrebbe essere dedicata a qualcosa di serio, importante, significativo. Non dico sempre, ma almeno una volta all’anno. Il guaio, però, è proprio questo: io, come tanti uomini, non sono un acero.

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