Un albergo di New York ha deciso di rispondere in modo originale alle pessime recensioni ricevute sul popolare sito Yelp. Anziché scusarsi e impegnarsi per migliorare il servizio, come fanno gli albergucci dozzinali, la Union Street Guest House ha adottato una politica aggressiva: l’ospite che dovesse frignare online per uno scarafaggio sotto il cuscino o per un bagno sporco, si ritroverà 500 dollari addebitati sulla carta di credito. Così impara.
Non sono sicuro di aver afferrato del tutto il perché, ma qualcosa mi dice che la notizia di cui sopra è parecchio significativa dei tempi che viviamo. Non perché condivida la risibile politica dell’albergo di New York (lungi dal contenere le critiche negative, l’iniziativa ha raggiunto i mezzi d’informazione dotando la Guest House di un’istantanea pessima reputazione): piuttosto mi sembra che prima o poi doveva succedere, ora che critiche, lazzi e insulti immotivati sono diventati una forma di (in)comunicazione molto diffusa. Era logico che a qualcuno dovessero saltare i cinque minuti: fa ridere sia capitato a uno sprovveduto albergatore.
La stagione del pensiero (forte, debole, acuto, stupido e insignificante) che corre sul filo o si allarga nel wi-fi sopravvive in bilico su un paradosso: da una parte, esprimere (meglio: diffondere) opinioni è facile, criticare è questione di un clic e perfino la diffamazione - esercizio antico quanto l’uomo - è oggi comoda e ben servita; dall’altra, nessuno sembra disposto ad accogliere, le critiche, a nessuno di certo interessano le opinioni altrui e tutto si riduce a un parossismo comunicativo in cui a insulto si risponde con diffamazione, a calunnia si reagisce con minaccia e a sberleffo con intimidazione.
In questo senso, l’iniziativa dell’albergo americano ha un suo valore dimostrativo: anche il gusto di sparlare dovrebbe avere un prezzo. E cinquecento dollari non sono neppure un’esagerazione.
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