Come se non fosse già difficile abbastanza trovare parcheggio in centro, l’uomo insiste nella sua ricerca di altre forme di vita nell’universo. Tutt’altro che scoraggiato dall’affollamento di un sabato al centro commerciale, egli guarda alle stelle e spera che, da qualche parte, ci sia ressa pure lassù.
Per secoli questo è rimasto un desiderio vago, un anelito poetico. Ora che la tecnologia ci fa credere di poter conquistare ogni cosa, la spinta a individuare altre forme di vita - possibilmente "intelligenti" - è diventata una ricerca con tutti i crismi. Alcuni astronomi australiani usano per esempio un complesso "interferometro" per bombardare di onde elettromagnetiche una minuscola porzione di cielo, ovvero la "fascia abitabile" di una stella chiamata Gliese 581. In questa "fascia" gli astronomi hanno già individuato alcuni pianeti: l’interferometro dovrebbe rispondere alla domanda se, oltre a essere "abitabili", questi pianeti sono effettivamente abitati. La speranza, invero sottile, è che sconosciute forme di vita intelligente possano captare queste onde e rispedirne a loro volta una certa quantità sulla Terra, ma fino a oggi nessuno lassù ha sollevato la cornetta.
Quella degli scienziati australiani mi sembra una ricerca nobile ma senz’altro disperata. Non riesco a immaginare solitudine più profonda di quella vissuta da un omino in camice bianco che spedisce segnali radio nella volta celeste sperando di insinuarsi, a caso, nella radiolina di un alieno che sta seguendo una partita di calcio il giovedì mattina (su Gliese 581 le partite di calcio si giocano il giovedì mattina). Non solo, l’omino spera che, invece di infastidirsi per l’interferenza, l’alieno risponda. Posso immaginare la conversazione. Omino: «Pronto! Sei una forma di vita intelligente?». Alieno: «Io sì. A te invece che cosa è capitato?»
Per secoli questo è rimasto un desiderio vago, un anelito poetico. Ora che la tecnologia ci fa credere di poter conquistare ogni cosa, la spinta a individuare altre forme di vita - possibilmente "intelligenti" - è diventata una ricerca con tutti i crismi. Alcuni astronomi australiani usano per esempio un complesso "interferometro" per bombardare di onde elettromagnetiche una minuscola porzione di cielo, ovvero la "fascia abitabile" di una stella chiamata Gliese 581. In questa "fascia" gli astronomi hanno già individuato alcuni pianeti: l’interferometro dovrebbe rispondere alla domanda se, oltre a essere "abitabili", questi pianeti sono effettivamente abitati. La speranza, invero sottile, è che sconosciute forme di vita intelligente possano captare queste onde e rispedirne a loro volta una certa quantità sulla Terra, ma fino a oggi nessuno lassù ha sollevato la cornetta.
Quella degli scienziati australiani mi sembra una ricerca nobile ma senz’altro disperata. Non riesco a immaginare solitudine più profonda di quella vissuta da un omino in camice bianco che spedisce segnali radio nella volta celeste sperando di insinuarsi, a caso, nella radiolina di un alieno che sta seguendo una partita di calcio il giovedì mattina (su Gliese 581 le partite di calcio si giocano il giovedì mattina). Non solo, l’omino spera che, invece di infastidirsi per l’interferenza, l’alieno risponda. Posso immaginare la conversazione. Omino: «Pronto! Sei una forma di vita intelligente?». Alieno: «Io sì. A te invece che cosa è capitato?»
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