A parziale smentita di una “buonanotte” di qualche giorno fa in cui, più o meno, facevo l’elogio del digitale anche nell’editoria, vorrei oggi annunciare (?) che, in realtà, sono ancora un utente di libri fatti con la carta e, pertanto, anche un cliente delle librerie che si ostinano a spacciarli. Uno sguardo ai miei scaffali basterebbe a definirmi “lettore onnivoro”, per la felicità concomitante di bibliofili e zoologi, ma un’osservazione più approfondita scoprirebbe una clamorosa lacuna.
Tra i libri in mio possesso pochi presentano la fotografia dell’autore in quarta di copertina. Mi dispiace dirlo ma per quel genere di ritratti provo un’istintiva repulsione. Le pose artefatte, le giacche fintamente stropicciate, le barbe incolte o i rossetti troppo accentuati, gli occhiali professorali e le collane di perle: tutto mi irrita alla massima potenza. Ancora di più i ritratti in bianco e nero: inquadrature alla Lubitsch per autori di ricettari, instant-book su Candy Crush, guide per attraversare la Patagonia in skateboard.
Mi rendo conto, naturalmente, che l’ostilità è del tutto pretestuosa e ha ragione di essere – se ce l’ha – solo all’interno della mia testa. Eppure continuo a credere che lo scrittore dovrebbe avere una sola faccia: quella decisa dalla mia immaginazione alla lettura della sua “voce” scritta. Invece cado perfino nell’errore di cercare su Google la foto di uno scrittore che ha avuto il buon giusto di non metterla nel libro. Sempre, e dico sempre, trattasi di delusione: l’altra faccia, è il caso di dirlo, del piacere di leggere.
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