«Con 10 centimetri d’altezza per 183 grammi di peso, sembra un pupazzetto che può stare in tasca, ma in realtà è in grado di girare la testa verso il suo interlocutore, riconoscerlo e iniziare a chiacchierarci. Si chiama Kirobo Mini ed è un piccolo robot che si candida a fare compagnia alle persone. Lo ha svelato Toyota Motor, che lo lancerà sul mercato nipponico agli inizi dell’anno prossimo a circa 390 dollari».

Scovata una notizia come questa nella sezione tecnologica di un grande sito d’informazione, il più dovrebbe essere fatto. Nel senso che il commento a seguire si scrive da sé: basta selezionare il tono preferito (sussiegoso, bonario, apocalittico, saccente) e buttar giù un paio di considerazioni sulla solitudine umana, la spersonalizzazione dei sentimenti e l’amicizia - ah, quella preziosa amicizia cantata dai poeti e mitizzata dai film - venduta al prezzo neanche tanto modico di 390 dollari.

Tutta roba giusta, quasi incontestabile, perfino doverosa. È vero che fino a qualche decennio fa - in tempi linguisticamente più sobri - sarebbe bastato scuotere la testa e sospirare «Signora mia, non so proprio dove andremo a finire» per liquidare la faccenda, ma anche adesso, col nostro sarcasmo verboso, le faccine e i vergogna-tutto-maiuscolo sul web, siamo perfettamente in grado di annunciare l’ovvio e di ribadirlo all’infinito.

Nessuno, piuttosto, pensa alla delusione dei signori della Toyota, inevitabile quanto bruciante quando scopriranno che il loro “robottino” è inutile: l’amico da tasca ce l’abbiamo già tutti, e da un pezzo. Si chiama telefonino, o smartphone per i più aggiornati, e lo trattiamo da perfetto surrogato dell’amico nostro. Con esso parliamo e giochiamo, cullandoci nell’illusione di essere in contatto con l’umanità; lo sgridiamo se ci secca e sempre lo rendiamo partecipe dei più velenosi pettegolezzi. Come ogni vaneggiato amico elettronico, non è programmato per tradirci. Solo a farci finire sotto un Tir, quando attraversiamo la strada guardandolo negli occhi.

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