L’antico contesto

Chi ha la discutibile abitudine di leggere ogni giorno questa rubrica si sarà accorto di come, di tanto in tanto, io vada pigliando spunti dalle ricerche che, in tutto il mondo, valenti team di psicologi escogitano allo scopo di mettere in luce i meccanismi del comportamento umano. Questi studi tendono a esplorare quelle sfaccettature della personalità alle quali assegniamo nomi precisi: invidia, avidità, ira, generosità, affetto, gelosia, eccetera. Compiuto l’esame, i ricercatori offrono una conclusione: in date circostanze la gente tende a comportarsi in un certo modo per questo e quest’altro motivo.

I ricercatori non autorizzano, ma neanche proibiscono, conclusioni alternative o, per avvicinarci all’argomento di oggi, estese dei loro lavori. Per questa ragione, libero da indicazioni, a me piace spesso filosofeggiare sulle risultanze del lavoro altrui.

Non ho potuto esimermene leggendo ieri di uno studio, appena pubblicato, incentrato su quelle persone che, pur senza averne bisogno, rubano o barano. È il caso di quei “vip” pescati a sgraffignare merce nei negozi o di quei brillanti studenti universitari che, per un insignificante punticino in più nella media già stratosferica, non esitano a spacciare per originale qualche orrenda risciacquatura accademica. Secondo gli studiosi, questi comportamenti sono spiegabili con il “brivido” che provocano, una sorta di ebbrezza molto assuefacente indotta dal rischio di essere scoperti.

Ed è qui che il sottoscritto non si accontenta e vuol leggere, in questi comportamenti, qualche cosa di più, offrendo la sua conclusione personale, ben poco accademica, del tutto empirica e, se vogliamo, pure un poco cialtrona. Che sarebbe questa: il “brivido” di cui sopra diventa attraente in un contesto in cui chi ruba corre al massimo il rischio di essere scoperto; lo sarebbe molto meno se il pericolo fosse quello di venir considerato un ladro. Ma quel contesto è finito da un pezzo.

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