L’arte del calcio

Un titolo intravisto ieri su un sito d’informazione («Lega Pro, vince la Linea Lotito. Ma l’assemblea si spacca») mi ha portato alla conclusione che è ora di abbandonare il calcio. Il fatto che la mia squadra del cuore - il Milan - al momento vada raccogliendo sconfitte e figuracce non è né una né scusa un incentivo: semmai una circostanza che rende la mossa quasi indolore.

Il titolo di cui sopra ha la sua importanza. Abbiamo letto tutti, credo, di Lotito e della sua telefonata. Non sono un amante del genere letterario-giornalistico che passa sotto il nome di “intercettazioni”, ma in questo caso sulla furtività del mezzo prevale lo scandalo del contenuto. Eppure, il sito parlava di una “linea Lotito”. E quale sarebbe, questa “linea”: facciamoci i cavoli nostri, decidiamo prima chi sale e chi scende e, ai pesci piccoli, tanti auguri e sperate di non affogare? Questa non è una “linea”: in italiano si chiama prepotenza.

Dunque, basta calcio. Già. Facile a dirsi. Diciamo allora basta calcio contemporaneo. Basta partite in diretta, basta Sky Calcio, basta Ilaria D’Amico, basta Domenica Sportiva e basta con la galleria di mostri in onda su Italia 1 con il titolo di “Tiki Taka”.

Siccome viviamo in epoca digitale, e quindi di immensa archiviazione e di istantanea consultazione, potrei soppiantare il calcio d’attualità con quello storico, non nel senso di fiorentino, ma in bianco e nero, trascorso, già disputato, annotato con doverosa precisione nell’Almanacco Panini.

È ovvio che non è possibile fruire di questo calcio nel modo in cui si fruisce del calcio contemporaneo. Non c’è l’incognita del risultato, l’angoscia dell’incertezza, il brivido del pericolo. Tutto è già conosciuto, scritto, documentato e pertanto previsto e prevedibile. La partita diventa allora come un disco che non ci si stanca di risentire, un film che si ama rivedere. In questo modo, il calcio diventa finalmente arte. E non c’è capolavoro che veda la partecipazione di Lotito.

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