Lasagne riformate

Non c’è che dire: il mondo della politica suscita sempre un ammirato stupore. D’accordo, ritiro l’aggettivo “ammirato” ma il fatto resta: la politica il più delle volte lascia di stucco.

Essa, si dice, è ormai anni luce lontana dalla società reale. Mi sembra che, posto in questi termini, il problema sia, se non sottovalutato, forse visto sotto una luce ambigua. Più che tenersi a distanza dalla realtà, la politica tende a perseguitarla, la realtà medesima, come farebbe il più accanito dei molestatori. I potenziali elettori vengono sondaggiati, comiziati, interrogati, adulati e coperti di promesse: mancano giusto i fiori e i cioccolatini. Quando però qualcuno, compiaciuto da tali pressanti attenzioni, osa dire la sua, formulare una proposta, avanzare una richiesta, ecco che la comunicazione sembra interrompersi: «Che cosa ha detto? Vuole meno sprechi? Più risorse per la scuola? Lotta alla disoccupazione? D’accordo: allora facciamogli una bella repubblica presidenziale».

A domanda, insomma, non segue coerente risposta. Adesso, per esempio, la politica si è data 18 mesi per arrivare a riforme che, a quanto pare, sono irrinunciabili. Tra queste, appunto, il presidenzialismo, ovvero l’elezione diretta del presidente della Repubblica.

La qual cosa, intendiamoci, merita senz’altro attenzione. Peccato solo che, a voler ben guardare, vada a riformare l’unica istituzione per cui il popolo italiano - o quantomeno una sua larga percentuale - conservi un certo rispetto: la cosiddetta presidenza “super partes”. Tutto il resto, dal numero dei parlamentari al taglio di capelli di Maurizio Lupi, lo si vorrebbe riformato: la presidenza della Repubblica, a dire dei sondaggi, no. Ma tant’è, la politica non è sorda alle nostre richieste: le accoglie, invece, per poi fare esattamente il contrario. Nessuno si azzardi a dire che ci piacciono le lasagne: potrebbero abolirle per decreto.

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