L’ateneo manesco

Le mie peregrinazioni - mentali, fisiche e virtuali (su Internet) - in cerca di idee per questa modesta rubrica, mi portano sempre più lontano. Ieri, addirittura, mi hanno depositato di fronte agli austeri cancelli di Harvard, l’università americana più antica e certamente la più prestigiosa.

Non i cancelli veri, precisiamolo: quelli disponibili in Rete. Altrettanto autentici, se vogliamo, perché intesi a rappresentare in tutto e per tutto il famoso ateneo. Come dicevo, Harvard è uno degli istituti più quotati al mondo e non certo perché sia facile superarne i corsi o perché prometta compagni di banco quali Christian Vieri o Alessandro Del Piero. Al contrario, chi ottiene l’ammissione si ritroverà al fianco degli studenti più preparati d’America e, in larga parte, del mondo. Tutto ciò, evidentemente, in virtù della garanzia di una preparazione estesa e di un ambiente competitivo.

Quanto competitivo non potevo immaginarlo fino a quando non ho letto uno degli slogan con cui Harvard promuove se stessa: “Vuoi imparare a comandare sotto pressione? Allora studia sotto pressione”. Questo riferimento diretto, esplicito, non solo all’impegno ma quasi al sacrificio fisico richiesto agli studenti mi ha colpito. In Europa, istituti ad alta gradazione di prestigio amano diffondere un’immagine fatta di serietà, tradizione, sobrietà, al massimo di severità. Harvard invece va giù piatto: il passo successivo a “studia sotto pressione” potrebbe essere soltanto “qui vi facciamo un c... così”.

L’onestà americana è rinfrescante - non si fa carriera tanto con la tradizione quanto con i muscoli - ma anche vagamente insalubre: non c’è altra strada al successo, dice Harvard, che quella pavimentata con lo stress e costellata di insonnia, ulcere, emicranie nonché dissesti cardiocircolatori di vario genere. Sarebbe grandioso se, da qualche parte, spuntasse un’università che, accanto alla disciplina e all’ambizione, ci insegnasse anche un po’ di amore per noi stessi. Volendo, anche prendendoci a sberle.

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