Lavori inutili

Un’analisi intitolata “Perché il capitalismo crea lavori inutili” può sembrare un tantino aggressiva nelle premesse ma, scorrendola, bisogna ammettere che contiene annotazioni interessanti.

L’analisi di cui sopra è apparsa nel sito evonomics.com, una pubblicazione che sostiene di occuparsi della “Prossima evoluzione dell’economia”, ed è firmata da David Graeber, professore di Antropologia alla London School of Economics. Che cosa sostiene Graeber? Che, 80 anni fa, Keynes aveva ragione nell’ipotizzare come un giorno grazie all’automazione della produzione industriale, saremmo stati in grado di lavorare al massimo 10 o 15 ore alla settimana. Se questo oggi non accade è perché il “sistema”, invece di lasciarci tempo libero per fare quello che ci pare, preferisce creare lavori “inutili” con cui tenerci occupati.

Quali lavori inutili? Prima che qualcuno si senta offeso, bisogna dire che Graeber definisce inutili tutte le occupazioni non direttamente produttive, ovvero che non concludono il loro ciclo con la creazione di un bene. Dunque, “inutili” sarebbero i tanti servizi che oggi abbondano: burocrazia, assistenza legale, telemarketing, pubbliche relazioni. Questi solo alcuni esempi. «Inventare posti di lavoro solo per tenere la gente occupata è l’ultima cosa che ci si aspetterebbe dal capitalismo, è un’impostazione sovietica: invece, accade proprio questo».

L’analisi di Graeber è più articolata della rappresentazione che ne ho dato. Personalmente, però, tanto mi è bastato per riflettere sulla natura del lavoro oggi e di come, in effetti, tenda vieppiù a staccarsi da uno scopo diretto, concreto e visibile. Questo, in generale, potrebbe generare una crescente frustrazione: dopo tutto, chi ha piacere di lavorare per “nulla”?

Allora, forse, è tempo di dimostrare che i tanti discorsi sulla creatività italiana, sulla visione artistica della nostra cultura, ripetuti in questi anni alla nausea e diventati slogan buoni solo per il marketing (altro settore a rischio di evanescenza), hanno un fondamento concreto: creare significa ribadire la nostra esistenza individuale e collettiva. L’alternativa, è lasciarsi distrarre dal “sistema”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA