L'azzardo

L'azzardo

Nutro scarsa simpatia verso la censura e, per questo motivo, mi sentirei spinto a commentare con severità la decisione del governo di vietare gli spot a diffusione del gioco d’azzardo. Non che il governo se ne stesse preoccupando, ma credo di poterlo comunque sollevare da ogni apprensione: questa volta sono d’accordo.

Devo confessare che il gioco d’azzardo non mi ha mai visto sul fronte degli oppositori. Se, con il giudizio dovuto alla sua intelligenza, un galantuomo vuole scommettere qualche euro, sentendosi particolarmente ispirato sul numero di una lotteria o sulla vivacità intravista nell’occhio di un cavallo, ebbene, non mi pare ci sia ragione d’impedirglielo. Fargli la morale mi sembrerebbe ipocrita e invadente: una scomposta irruzione nelle sue libertà personali. Non sono contro il gioco in sé, dunque, ma contro gli spot. Per la ragione che essi, come sono concepiti, danno dell’azzardo un’impressione distorta e diffamatoria.

Mostrano, i filmati in questione, calciatori in smoking e bellezze da catalogo di idraulica; intonano ritornelli beoti e, nel complesso, suggeriscono che nella vita tutto l’azzardo necessario sta nel scegliere un numero o una squadra e scommetterci sopra. Sappiamo tutti bene come sia altro l’azzardo da promuovere: l’azzardo di scegliersi una professione e di svolgerla bene, di conservare nel tempo un rapporto sentimentale, di credere ai propri valori anche quando tutto sembra smentirli. Ridurre l’azzardo della vita a una schedina è un inaccettabile insulto. Alla vita e all’azzardo.

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