Le capre di Ikarìa

Le capre di Ikarìa

Sembra proprio che sia la longevità, se non addirittura l'immortalità, l'ossessione  del ventunesimo secolo. Aveva incominciato Berlusconi, accennando alla sua intima convinzione di poter vivere 120 anni (o era governare 120 anni?) ma, a pensarci, la sua era una dichiarazione che veniva sull'onda di un generale anelito a mandare in pensione la diffusa pratica del morire. Per non morire, tuttavia, occorre vivere - tertium non datur - e per vivere bisogna mantenere in efficienza il corpo: pochissimi possono vivere con un corpo apparentemente atrofizzato - tra questi, Pippo Baudo -, gli altri, i mortali appunto, per non morire hanno necessità di rimanere vivi. Ma come?

La ricerca scientifica ha scoperto che vivono a lungo quelli che si preoccupano meno di dover morire. Costoro di solito risiedono in comunità semplici e remote, come Okinawa in Giappone, l'Ogliastra in Sardegna e, recente scoperta, l'isola di Ikarìa in Grecia.

Medici e ricercatori si sono immediatamente precipitati a Ikarìa onde carpire agli indigeni il segreto della loro longevità. Come al solito, anziché trovare un frutto magico che risolverebbe tutti i nostri problemi, se ne sono tornati con vaghe teorie e approssimative osservazioni. Gli abitanti di Ikarìa mangiano pane e legumi, un sacco di maggiorana e salvia, menta e rosmarino, finocchio e artemisia. Dimenticavo: bevono copiosamente latte di capra. Ma soprattutto, osservano i ricercatori, conducono una vita priva di stress in un ambiente naturale.

So già che cosa succederà adesso: si cercherà di esportare nel mondo il modello di Ikarìa. Con il risultato che sarà impossibile farlo se non scendendo a compromessi. L'ambiente naturale non tutti se lo possono permettere e vivere senza stress è facile a dirsi ma non a farsi. In più, maggiorana e rosmarino hanno i pesticidi. Vedrete che alla fine le uniche a rimetterci saranno le capre.

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