Le donne e Godot

Il compito - assegnatomi qualche giorno fa da una lettrice - sarebbe quello di parlare «bene» delle donne single ma, attenzione, badando a mantenere la giusta profondità, in modo che ne esca un ritratto - trascrivo - «di donne poco inclini ad essere "accomodanti" ma che continuano stoicamente a sognare di trovare il complice della vita, che si sbattono per difendere la loro indipendenza economica e che si trovano bene anche nel ruolo di massaie».
In questa premessa è facile leggere non dico del risentimento, ma almeno la convinzione di un debito aperto con la parte maschile della società, con la quale sembra impossibile conciliarsi senza scendere a fastidiosi compromessi, contro la quale occorre ancora strappare con i denti il diritto a un’accettabile giustizia economica (meglio sarebbe una sacrosanta eguaglianza), il tutto non già per assicurarsi privilegi, quanto una troppo sospirata dignità.
A dire il vero, mi pare questa la posizione non solo delle single, ma di tutte le donne: pazienti personaggi del Beckett di «Aspettando Godot», laddove Godot è l’uomo svagato, assente, perduto, finito chissà dove, probabilmente attardatosi nella ricerca di una sua personale, erronea, compiacente concezione del femminile. So che è così, perché lo vedo in mia moglie: avanti un passo quando pensa, due quando agisce, tre quando, con pazienza, aspetta che ci arrivi anch’io. La buona notizia, per lei, è che prima o poi ci arrivo. Per tutte voi, è che se ci arrivo io, ci possono arrivare pure gli altri.

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