Le mele di Paul

Le notizie - non rarissime - che riguardano il mondo dell’arte mi appassionano sempre. Dovrei specificare: intendo le notizie che riguardano non tanto il mondo dell’arte quanto quello del collezionismo.

Parlare di collezionismo equivale a parlare di denaro. Quando si tratta di collezionismo d’arte, di tanto denaro. Possono bastare, per fare un esempio, 41 milioni di dollari? È la somma per la quale è stata venduta una tela di Paul Cézanne, dipinta tra il 1889 e il 1890, nella quale si ammirano undici mele. Facile fare il calcolo, lo hanno fatto tutti i cronisti che, nel mondo, si sono occupati della notizia: ogni mela è stata venduta per circa 3,8 milioni di dollari.

A differenza di tanti artisti suoi contemporanei, Cézanne non era uno spiantato. Suo padre era un banchiere ed egli godette per tutta la sua vita di una rendita che lo mise al riparo dalle angustie tipiche, in quella stagione, della vita di pittore. Nonostante ciò, se tornasse in vita credo rimarrebbe sbalordito dal valore raggiunto sul mercato dalle sue mele. Molto probabilmente incomincerebbe a dipingere mele come un matto nella convinzione di poter accumulare una fortuna. Chissà come rimarrebbe deluso nel dover constatare di essere riuscito a guadagnare ben poco! Proverebbe allora a dipingere arance e albicocche, e poi papaie e avocado, ananas e frutti della passione. Niente: altro che milioni di dollari, probabilmente solo pochi euro.

Questo per la ragione che solo il tempo, rendendo irripetibili e uniche le mele di Cézanne, consente di valutarle così tanto. Il collezionista paga per portarsi via un pezzetto di realtà che nessun altro ha e avrà mai. Se il pittore si mettesse a dipingere mele come un matto, farebbe diminuire il valore di quelle del collezionista senza peraltro poter aumentare quello delle sue e dunque non riuscirebbe a saziare la fame di denaro che gli abbiamo attribuito. La nostra fame di bellezza sì. Ma quella, si sa, non ha né prezzo né mercato.

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