Di fronte a funerali mafiosi, intransigenze internazionali e intolleranze locali, volgarità in formato digitale e in confezione tradizionale, non ditemi che non siete stati tentati, almeno per un momento, di mandare a quel paese l’umanità.
Potrei biasimarvi, visto il livello davvero abrasivo raggiunto da certi comportamenti? Direi di no, anche se la sdegnata uscita dal mondo è un gesto dimostrativo che, spesso, non dimostra nulla e, soprattutto, serve a ben poco.
C’è peraltro chi ci ha provato sul serio, come il ricco Timone d’Atene che deluso dall’avidità e dall’atteggiamento interessato di chi considerava amici, decise di mandare tutti al diavolo: siamo nel 400 a. C. Più tardi, nel 1600, Shakespeare diede voce a questo formidabile misantropo nel dramma che porta appunto il titolo “Timone d’Atene”.
Ecco, se proprio si volesse spedire all’umanità la definitiva lettera di disprezzo bisognerebbe prima confrontarsi con le parole che Shakespeare forgiò per Timone. Pensate di essere arrabbiati? Credete che qualche commentatore online superi spesso il segno? Sentite come Timone si rivolge all’odiata Atene: «Diventate incontinenti, matrone! L’obbedienza sparisca nei fanciulli! Schiavi e pazzi, strappate i grinzosi senatori dai loro seggi e amministrate le leggi in loro vece! In pubbliche bagasce mutatevi all’istante, fresche verginità! Fatelo sotto gli occhi dei vostri genitori! Voi, falliti, tenete duro, e invece di pagare, fuori i coltelli e tagliate la gola dei vostri creditori! Servi giurati, rubate!... E tu serva, va nel letto del padrone, perché la tua signora è di bordello. Figlio sedicenne, strappa la gruccia imbottita del tuo vecchio padre e con essa spaccagli il cervello!»
Meglio fermarsi perché a questo punto William attacca con l’artiglieria pesante. Ci basti questo per comprendere come per odiare sul serio ci voglia un furore che forse la nostra epoca sciatta non conosce più. In fondo Shakespeare scriveva per i posteri, noi per Facebook.
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