Le tre stagioni

Le tre stagioni

Parliamo, se vi va, di una bazzecola: la vita. Forse per consuetudine, forse per pigrizia, uno tende a incominciare la vita dall’infanzia. È un buon modo, in realtà, di avviare una pratica come la vita perché l’infanzia, per definizione, dà modo di crescere.
Sì, ma che cosa significa «crescere»? A ben guardare, crescere significa «aspettare». Aspettare che il corpo abbia finito di allungarsi, ingrandirsi, irrobustirsi; aspettare che, nel cervello, si formi un deposito di conoscenze e di esperienze che verrà utile in seguito. Un complesso di operazioni, questo, che passa sotto la definizione di «sviluppo», forse perché, come accadeva per le vecchie pellicole fotografiche, soltanto dopo questa fase si può vedere che cosa è "venuto" e cosa no. Ciò che dovrebbe "venire" è la maturità, l’età adulta. La quale età adulta, vista dall’infanzia, è la stagione nella quale ogni cosa è possibile, ogni meraviglioso, impudente comportamento è tollerato: si può stare alzati fino a tardi, per esempio, e al mare si fa il bagno prima delle quattro. Vista dall’età adulta, invece, la maturità è più che altro un rimpianto per l’infanzia: per quella stagione dell’attesa che, osservata a distanza, appare la più dolce possibile.
Mi chiedo, a questo punto, come appariranno le prime due stagioni viste dalla terza, ovvero dalla vecchiaia, la quale, si dice, è l’età della saggezza. Nel senso, temo, che finalmente ci sarà chiara l’agghiacciante idiozia nella quale abbiamo trascorso le prime due.

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