Lo scrittore e poeta Paul Valery, in un libro dedicato a Edgar Degas (ma guarda che badilata di cultura vi propino oggi!), nel riferire delle posizioni politiche dell’amico pittore si dilunga sul quadro parlamentare della Francia di fine Ottocento. Sono righe belle, che val la pena riportare: «Era l’epoca in cui pesavano sul Parlamento, sui ministri, sulla stampa, sospetti indefinitamente rinnovati di corruzione, di collusione, di venalità o di compiacenze illecite. Dei nomi passavano di bocca in bocca, e delle liste di tasca in tasca. Tutto diventava possibile, era creduto, incancellabile nelle menti».
A questo affresco, la cui vernice sembra ancora freschissima, Valery aggiunge una pennellata che trovo illuminante: «Più si era scettici, più si era creduli alle peggiori voci».
Non trovo sintesi migliore per definire un atteggiamento culturale oggi diffusissimo: quello devoto al sospetto. Un tarlo che avvelena la società, inquina le coscienze, deforma la credibilità dei media e ingrassa i fornitori di versioni "alternative", ovvero di verità "altre" rispetto a quella "ufficiale" che, come tale, viene subito bollata di reticenza quando non di mendacia. Scettici e dunque, per paradosso, creduloni. Specie nei confronti di quelle voci che, saggiamente, Valery definisce «peggiori».
Massonerie, cartelli bancari, cospirazioni finanziarie, poteri grandi e grandissimi, eminenze grigie e speculatori dallo zoccolo caprino e dal fiato sulfureo: tutto sbandierato senza altro onere di prova che quello di una citazione sgangherata, della reputazione dubbia di un "esperto" borderline e di quel piglio da opinionista che "ne sa più di tutti e non si fa prendere per i fondelli" alla portata di chiunque abbia un account Twitter o Facebook.
I potentati, quelli veri, ridono di queste rappresentazioni infantili, così come il diavolo si fa beffe di chi lo dipinge con le corna. Per smascherarli serve trovare, da giornalisti o semplici cittadini, una sola cosa: la verità. Ma lo scettico è sempre l’ultimo a saperla riconoscere.
A questo affresco, la cui vernice sembra ancora freschissima, Valery aggiunge una pennellata che trovo illuminante: «Più si era scettici, più si era creduli alle peggiori voci».
Non trovo sintesi migliore per definire un atteggiamento culturale oggi diffusissimo: quello devoto al sospetto. Un tarlo che avvelena la società, inquina le coscienze, deforma la credibilità dei media e ingrassa i fornitori di versioni "alternative", ovvero di verità "altre" rispetto a quella "ufficiale" che, come tale, viene subito bollata di reticenza quando non di mendacia. Scettici e dunque, per paradosso, creduloni. Specie nei confronti di quelle voci che, saggiamente, Valery definisce «peggiori».
Massonerie, cartelli bancari, cospirazioni finanziarie, poteri grandi e grandissimi, eminenze grigie e speculatori dallo zoccolo caprino e dal fiato sulfureo: tutto sbandierato senza altro onere di prova che quello di una citazione sgangherata, della reputazione dubbia di un "esperto" borderline e di quel piglio da opinionista che "ne sa più di tutti e non si fa prendere per i fondelli" alla portata di chiunque abbia un account Twitter o Facebook.
I potentati, quelli veri, ridono di queste rappresentazioni infantili, così come il diavolo si fa beffe di chi lo dipinge con le corna. Per smascherarli serve trovare, da giornalisti o semplici cittadini, una sola cosa: la verità. Ma lo scettico è sempre l’ultimo a saperla riconoscere.
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