Leggerezza

Nell’intervista televisiva rilasciata da Franco Fiorito, massiccio ex capogruppo Pdl alla Regione Lazio, mi ha molto colpito una frase: «Non sono un ladro. Al massimo si riuscirà a dimostrare che ho maneggiato del denaro con leggerezza».

Io, naturalmente, non so se Fiorito sia un ladro. Soprattutto, non spetta a me dirlo. Per stabilire queste cose, con ragionevole approssimazione, si fanno i processi. Posso solo far notare che Fiorito, a questo punto, sta cercando di cavarsela con una giravolta lessicale, uno svelto balletto linguistico, certo ammirevole data la sua mole, ma, lasciatemelo dire, del tutto inopportuno.

Dovessimo infatti prendere per buona la sua giustificazione  - «Ladro no. Al massimo fatuo maneggiatore di soldi» - apriremmo una breccia non solo nella tenuta criminale del Paese ma anche, conseguenza perfino più grave, in quella del senso proprio delle parole. Chi potrebbe impedire a un consumato killer di presentarsi davanti alla corte e negare ogni addebito? «Io assassino? Signor giudice, lei mi offende. Al massimo, se proprio vogliamo spaccare il capello in quattro, si può dire che maneggio con leggerezza la vita altrui». La stessa formula funzionerebbe per ogni sorta di attività criminale. Non più falsificatori, non più contrabbandieri, non più truffatori: solo «disinvolti replicatori di documenti originali», «frivoli importatori non autorizzati» e «leggiadri manipolatori dell’altrui credulità».

Si contesta spesso alla politica di abbandonarsi a una dialettica postribolare, quando il problema potrebbe essere proprio l’opposto: la verità trattenuta, la chiarezza vilipesa, il significato aggirato. E soprattutto la convinzione che tanto basti a farla franca e il Paese, beh, quello vada pure a farsi fottere. Con leggerezza, si capisce.

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