L’emergenza? Prolunghiamola all’infinito

Capisco bene che l’intenzione, annunciata dal governo, di prolungare lo stato di emergenza Covid fino al 31 dicembre provochi più di un malumore. È legittimo che il presidente del Consiglio - qualunque presidente del Consiglio - si arroghi il diritto di estendere i poteri speciali a sua disposizione? È sufficiente che passi per il voto del Parlamento? Oppure alle emergenze c’è un limite: si possono cioè invocare fino a quando non compromettono l’assetto fondamentale delle istituzioni? Tutte domande legittime. Inoltre, la materia è fonte di polemiche e nessun leader dell’opposizione rinuncia a sfruttare una fonte di polemiche, a meno non preveda che la faccenda gli scoppi in faccia, ma anche in questo caso capita che non sappia resistere alla tentazione.

In merito, mi permetto di sostenere una posizione un poco originale. Fosse per me, infatti, estenderei l’emergenza “sine die”, ovvero potenzialmente all’infinito. Vorrei precisare: non parlo dell’emergenza Covid (per quella bisognerà presto decidere sulla base di dati attendibili circa la diffusione del contagio), quanto di un’emergenza esistenziale e corrente, tipica della nostra epoca, che a questo punto occorrerebbe ufficializzare una volta per tutte.

Lo stato di emergenza interviene in teoria a isolare un particolare periodo dalla circostante normalità. La prassi vorrebbe che ci trovassimo nella normalità e che, al sopraggiungere di circostanze impreviste e allarmanti, elevassimo uno stato di emergenza al fine di affrontare le sopraggiunte difficoltà nel modo più efficace possibile.

Il problema, oggi, è che non è più dato di stabilire con buona approssimazione che cosa sia la normalità. Viviamo circondati da costanti emergenze (salute, lavoro, ambiente, giusto per citare tre “evergreen”), i cui confini si confondono e sovrappongono al punto che continuiamo a isolarle l’una dall’altra solo per stanca abitudine, praticità di archiviazione e vago senso di partecipazione e responsabilità.

Meglio, allora, proclamare una bella emergenzona unica per sguazzarci dentro liberi, privi di costrizioni ormai soltanto formali. Il separare le emergenze, circoscriverle nello spazio e nel tempo sarebbe saggio se esse venissero ancora pronunciate e definite nei termini tradizionali. Così non è, perché se a ogni passo la nostra attenzione viene attirata da un’emergenza, vecchia o nuova che sia, il carattere di straordinarietà della circostanza non potrà che perdersi.

In realtà “emergenza” è solo una particella del linguaggio esagitato e scomposto al quale ci siamo assuefatti. Potremmo addirittura definire l’emergenza come nuova normalità, visto il battere indefinito della parola su un concetto di straordinarietà che, esteso all’infinito, diventa paradossale. Potremmo ma non lo facciamo, perché i problemi che rimangono in attesa dietro le quinte fragorose e ingannevoli dell’“emergenza” sono gravi e in qualche caso tragici. Ma non sono né nuovi né imprevisti: e questo li rende ancor più vergognosi.

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