Leopolda a chi?

Adesso, oltre a tutto il resto, abbiamo il problema di Matteo Renzi. Alcuni potrebbero obiettare che non si tratta di un problema quanto di un’opportunità. Io insisto: è un problema, e vi spiego perché.

Le avvisaglie che il problema di cui sopra stava per insorgere le ho avute nel giorni scorsi quando tutte le televisioni hanno fatto a gara per mostrare il parco della Leopolda. Mi sono detto: «Non mi piace il palco della Leopolda». Non mi piace la Vespa anni Sessanta, non mi piace «il microfono vintage», non mi piace la lavagna elettronica, non mi piacciono le maniche di camicia, non mi piace neppure, con rispetto parlando, la bicicletta di Gino Bartali e sa il cielo quanto non mi piaccia il nome Leopolda. A irritarmi ancora di più il fatto che, prese singolarmente, non è vero che queste cose non mi piacciano: a riuscirmi insopportabile è il contesto scenografico al quale le si costringe a partecipare.

Ancora, non mi piace che si discuta della “convention” (non mi piace si chiami “convention”) come del Festival di Sanremo. Tra l’altro, nel generare pettegolezzo, stinte osservazioni di costume e cavalcate intellettuali biodegradabili, il Festival è molto meglio e non pretende di continuare oltre la sua vita naturale, una settimana o giù di lì.

Se devo essere sincero - non che sia obbligato ma, già che ci sono, perché no? - la faccenda della Leopolda mi sembra alquanto deludente. Non per i contenuti - ma chi li ha sentiti, i contenuti? - quanto per il modo in cui si è lasciata vendere, adulare, trasformare nell’evento del giorno, nel «posto in cui essere», nel fatto di cui «tutti parlano». Mi sconforta si parli della performance di Renzi come si farebbe di quelle fornite da Bonolis o Fazio all’Ariston e della politica come della farfallina di Belen. Mi sembra infine ingiusto che adesso si abbia il problema, l’obbligo se volete, di decidere se si è pro o contro Renzi. Un altro referendum personale, irrilevante e infondato. Ciò che mi secca, in fondo, è che si facciano sempre gli stessi errori.

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