L'eroe

L'eroe

Da un pezzo ho realizzato che la mia infanzia è finita. Adesso so per certo che sta morendo.

Neil Armstrong era, della mia infanzia, un protagonista e, come tale, ben fornito di tutta la vigoria necessaria a un eroe. Era uno, per intenderci, che piantava bandiere sulla Luna: un gesto storico in più di un senso. Non c’erano infatti telecamere quando Cristoforo Colombo sbarcò sull’isola che volle chiamare di San Salvador, non ci fu alcuna diretta tv quando James Cook toccò le coste dell’Australia. C’erano invece quando Armstrong mise piede sulla Luna e, sia pure confusamente, a me piccolo spettatore dell’evento (avevo sei anni) giunse il messaggio che eravamo entrati in un’epoca in cui non solo si conquistavano territori sconosciuti ma si dava anche grande importanza alle immagini.

Chissà se non entrò un pizzico dello spirito di Armstrong nelle successive generazioni di turisti impegnate a scattare foto davanti al Grand Canyon, alla Tour Eiffel, a San Pietro, al Machu Picchu, per riportare testimonianza di "essere stati là", di aver vissuto l’avventura del viaggio. Io ho sempre pensato di sì, altrimenti non si spiega l’assurda sottomissione dei turisti a vestirsi come tali e a farsi spennare come tali. Dietro la camicia a fiori di un turista americano e i pantaloncini kakhi di un visitatore tedesco, doveva esserci un grammo di quel piglio da moderno esploratore tipico degli astronauti, così che passeggiare sulla spiaggia di Lignano doveva sembrare loro come calpestare il Mare della Tranquillità.

Adesso Neil Armstrong non c’è più, portato via da un cuore capriccioso e, forse, dalla inevitabile estinzione della sua razza di pionieri. Quanto a noi, viaggiatori o turisti, siamo ormai oltre la fase dell’andare in un posto e scattare una foto: adesso accendiamo il computer e passiamo direttamente alla foto.

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