L'errore

L'errore

Ogni anno, commetto lo stesso errore. E non me ne accorgo, è ovvio, fino a quando è troppo tardi, altrimenti non sarebbe un errore. Trascorro l’intero inverno nella convinzione che l’estate - alla quale guardo con crescente desiderio quanto più scende la scala del termometro - sia una faccenda di temperatura, ovvero di caldo. Sbagliato: l’estate è una questione di olfatto, ovvero di odore.

Realizzo questa importante distinzione sempre la domenica mattina quando, inatteso, un aroma di barbecue si insinua nella finestra. Senza poterne fare a meno, penso: «È estate». La conferma arriva dalle voci che seguono d’appresso l’odore di carne alla brace: gente che parla all’aperto e ad alta voce, rilassata, non come quando, d’inverno, il freddo costringe la gente per strada a furtivi conciliaboli.

Ci sono molti altri odori - profumi, dovrei dire - che l’estate consegna e il bello è che, pur tutti ben noti e familiari, arrivano sempre di sorpresa. C’è il profumo dell’erba tagliata, quello dei gelsomini, l’odore tumescente della frutta troppo matura, quello, asciutto e pulito, della pelle arsa dal sole. Ci sono odori meno romantici, ma affatto tipici della stagione: l’ascendente sentore dell’asfalto semiliquido e quello, che sempre si accompagna a uno schiaffo di calore, degli scarichi dei bus in attesa lungo il marciapiede. Ci sono odori che, per qualche ragione, sembrano portare il fresco: le angurie, per esempio, o i cetrioli appena tagliati. Altri odori invece denunciano impietosi il caldo: penso al lento imputridire dei rifiuti.

Ogni anno, lo stesso errore. Mesi a dipingermi l’estate come un affresco di gradazioni termiche e invece eccola tornare come una tavolozza di stimoli olfattivi. E nel momento in cui mi chiedo perché faccio sempre lo stesso errore, in me si rafforza la speranza di ripeterlo.

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