L’estate di Adamo

Ci sono molte buone ragioni per amare l’estate e qualcuna per odiarla: le zanzare, l’asfalto che bolle, le repliche di “Sissi” in tv. Per quanto mi riguarda non c’è comunque discussione: l’estate va amata. Se non altro per la buona ragione che ci riporta l’ozio.

Oziare, si obietterà, è un’attività (o per meglio dire una non-attività) non necessariamente stagionale: si può essere fannulloni anche in inverno, magari con l’assistenza di una coperta e di una tisana calda e nulla impedisce di abbandonarsi all’inerzia in autunno, avvolti nei colori accesi delle foglie morenti, con una fetta di castagnaccio a portata di mano; non si può dire, infine, che perfino la primavera, con i suoi languori, sia del tutto estranea al concetto di pigrizia. Oziare in estate, però, è tutt’altra cosa e, se solo non fossi così indolente, potrei dimostrarvelo.

La ragione starà forse nel fatto che, con i suoi silenzi, le mollezze, le concentrazioni di calore che tradiscono l’occhio, l’estate stessa assomiglia a un sogno, o meglio ancora a un dormiveglia che la realtà sembra poter penetrare solo a tratti.

È come quando ci si assopisce nella frescura di una stanza ombreggiata. Le lenzuola sono pulite, la casa è silenziosa. D’un tratto, un refolo d’aria ci accarezza un polpaccio, oppure in lontananza si sente il rumore di un motorino: lo immaginiamo procedere, petulante e ostinato, in un quadro luminoso che lo vorrebbe immobile. Sono stimoli reali ma, non appena sprofondati sotto la superficie della coscienza, si mescolano con i pensieri che, ancora un poco sudati e confusi, andiamo consegnando al sonno perché li plachi e, con la complicità dell’estate, così abile e discreta nel fermare il tempo, ci conceda infine un poco di oblio.

Certo, poi qualcosa ci riporterà alla veglia. Un richiamo, un rumore, un secco bussare. E c’è un dolore, in questo stanco rianimarsi, che convince fosse in piena estate il giorno in cui Dio riscosse Adamo per cacciarlo dal Paradiso terrestre.

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