L'invasione

L'invasione

È successo sabato sera durante, anzi prima, della partita Juventus-Milan, mentre le squadre, e lo stadio intero, osservavano un minuto di silenzio per l'alpino morto in Afghanistan. Con tutto il rispetto per questo defunto e per gli tutti altri defunti omaggiati da simili pause, si tratta di una delle circostanze di più palpabile ipocrisia e, se volete, di sciocco imbarazzo in cui ci si possa imbattere. Non sabato, non prima di Juve-Milan: un "invasore solitario" si è infatti presentato sul campo, attirando gli sguardi di tutti e anche uno stormo di agenti in borghese.
L'invasione solitaria di un campo da gioco non è un evento frequente ma neppure raro. Lungi da me l'idea di incoraggiarne la pratica, e tuttavia non mi sento di sprecare, per casi del genere, una delle "ferme condanne" che da sempre punteggiano le vicende social-politico-istituzionali. Sarà forse perché l'invasore solitario è, naturalmente, un ossimoro incarnato. Un'"invasione", perché sia tale, va necessariamente declinata al plurale: "l'invasione delle truppe nemiche", oppure "l'invasione degli stranieri" o, ancora, "l'invasione delle vespe". L'invasore solitario si mette in contraddizione con se stesso spinto, forse, da un "io" che vorrebbe imporre, sia pure per qualche secondo soltanto, al mondo intero. La prossima volta, prima di agire, guardi i giocatori sul campo e i vip in tribuna d'onore: quelli sì che dispongono di un ego sviluppato al punto da poter invadere da soli le vite degli altri.

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