Costretto, dalla logica e forse perfino dalla coscienza, ad ammettere di aver fatto uso del doping, l'ex ciclista Lance Armstrong (vincitore, poi detronizzato, di sette Tour de France) è passato alla fase 2 della sua pubblica confessione. Se la fase 1 era stata “E' vero, mi dopavo”, la 2 non poteva che essere: “Si dopavano anche gli altri”. Scopo evidente, diluire la sua responsabilità in quella altrui, perché, si sa, il puzzone singolo trova conforto, riparo e giustificazione nella mescolanza con gli altri puzzoni.
Lance non si è limitato alla chiamata a correo degli atleti suoi contemporanei: in un'intervista ha dichiarato che “nel ciclismo nessuna generazione è esente da pratiche proibite”. A sentir lui, la generazione di Merckx era dopata. Prima ancora, quella di Coppi e Bartali. Nell'antica Grecia, addirittura, si dopavano, anche se poi, eccitati e pronti a scattare, i ciclisti si ritrovavano un poco smarriti perché la bicicletta non era ancora stata inventata.
La determinazione di Armstrong in questa denuncia è intensa al punto da risultare quasi convincente. Molti hanno criticato l'atleta americano per aver voluto tramutare in colpa storica una responsabilità personale; d'altra parte, si è tentati di accogliere il suo ragionamento e di portarlo alle estreme conseguenze. E se non solo il ciclismo fosse dopato? Se non solo lo sport fosse terreno di adulterazioni chimiche? L'uomo, in fondo, è per sua natura un essere alterato. Non necessariamente da pillole o pozioni: negli atteggiamenti arroganti, nelle menzogne piccole e grandi, nelle omissioni e nelle vanterie, siamo tutti organismi che producono varie forme di doping. Quante volte ci hanno detto che, nella vita, conta la presenza, il piglio, la capacità di sostenere una parte, ovvero di dare un'impressione di sé arricchita, potenziata, in altre parole dopata? E quanti personaggi vediamo applicare, ogni giorno, forme di artificiale lievitazione della personalità? Curioso, anche loro si giustificano: lo fanno tutti.
Lance non si è limitato alla chiamata a correo degli atleti suoi contemporanei: in un'intervista ha dichiarato che “nel ciclismo nessuna generazione è esente da pratiche proibite”. A sentir lui, la generazione di Merckx era dopata. Prima ancora, quella di Coppi e Bartali. Nell'antica Grecia, addirittura, si dopavano, anche se poi, eccitati e pronti a scattare, i ciclisti si ritrovavano un poco smarriti perché la bicicletta non era ancora stata inventata.
La determinazione di Armstrong in questa denuncia è intensa al punto da risultare quasi convincente. Molti hanno criticato l'atleta americano per aver voluto tramutare in colpa storica una responsabilità personale; d'altra parte, si è tentati di accogliere il suo ragionamento e di portarlo alle estreme conseguenze. E se non solo il ciclismo fosse dopato? Se non solo lo sport fosse terreno di adulterazioni chimiche? L'uomo, in fondo, è per sua natura un essere alterato. Non necessariamente da pillole o pozioni: negli atteggiamenti arroganti, nelle menzogne piccole e grandi, nelle omissioni e nelle vanterie, siamo tutti organismi che producono varie forme di doping. Quante volte ci hanno detto che, nella vita, conta la presenza, il piglio, la capacità di sostenere una parte, ovvero di dare un'impressione di sé arricchita, potenziata, in altre parole dopata? E quanti personaggi vediamo applicare, ogni giorno, forme di artificiale lievitazione della personalità? Curioso, anche loro si giustificano: lo fanno tutti.
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