Lo sbarco

Lo sbarco

Oggi che siamo tutti un po’ più declassati di ieri, mi rendo conto di come certe questioni non abbiano grande importanza. Tuttavia, è nella mia natura ostinarmi su certe piccole incongruenze verbali che, una volta venute a contatto con il mio cervello, faticano a lasciarlo.

L’ultimo di questi asteroidi linguistici che ha avuto la sfortuna di schiantarsi contro le mie meningi si trova nel titolo di una notizia che ho letto tra le agenzie Ansa: «Il Napoli sbarca su Twitter».

Ora, il senso del titolo è chiaro a tutti: la società di calcio della città di Napoli ha aperto un profilo Twitter e presto invierà messaggi a tutti i tifosi che vorranno seguirla. In questo modo, il popolo partenopeo potrà godere di informazioni del tipo «Oggi allenamento alle quattro», «Stasera pasta e fagioli in ritiro» e «Non è vero che il nostro presidente De Laurentiis è l’essere più borioso della Terra: in Canada sotto un sasso hanno trovato un ortottero che crede di essere Napoleone. I soliti detrattori sono serviti».

Nulla di strano, dunque, a parte la curiosità del sottoscritto di sapere se, per annunciare la presenza del Napoli su Twitter, era proprio necessario usare il verbo «sbarcare». Attenzione, non mi sogno di chiedere che i verbi vengano usati solo e soltanto nel loro significato letterale - i tre quarti dei titoli nei giornali resterebbero in bianco -, ma forse bisognerebbe evitare di scomodare certe espressioni quando il loro uso non è strettamente necessario. Perché, infatti, il Napoli "sbarca" e non "arriva" su Twitter se non per una nostra abitudine all’enfasi, all’automatica dilatazione del linguaggio? Indulgessimo meno nel vizio di sformare le parole, oggi avremmo la saggezza di considerare il participio "declassato" per quello che è: un insensato rigonfiamento della realtà.










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