Lo scaffale piccolo

ndividuare lo scaffale dedicato alla poesia è un po’ come mettersi a caccia di sugna: meglio mettersi intesta che non sarà cosa facile. Non mi capita spesso di avere degli attacchi di lirica, ovvero una voglia irrefrenabile di endecasillabi, ma mi piace pensare che la poesia c’è e che, in libreria, essa venga tenuta a disposizione dei lettori.

Così è ma la sua popolarità - se di popolarità, in fatto di poesia, si è mai potuto parlare - è in netto declino. In libreria la popolarità si misura in termini di spazio e lo spazio non lascia dubbi: l’area dedicata a “gialli e thriller” è vasta e popolata, quella dedicata alla poesia si risolve in un mezzo scaffale, di solito in coabitazione con la sezione “teatro”, fin troppo sobrio, addirittura disadorno: nessuno lo frequenta, se non qualche malcapitato che, correndo con lo sguardo sulle coste dei libri in cerca di novità. appena realizza di essere a contatto con Coleridge piuttosto che Virgilio, ritrae il capo come se avesse ficcato il naso in un nido di calabroni.

Ma c’è un sintomo perfino peggiore a denunciare il declino della poesia: il concetto della medesima che sembra aver preso piede tra molti. Ovvero quello che a far poesia basti, in sostanza, una serie di frasi caramellose, di proverbi mancati, di propositi per il nuovo anno. Li troviamo ovunque, questi brandelli di saggezza in fotocopia, ma in particolare sui social network, dove girano alla velocità della luce accompagnati - grazie Photoshop! - da tramonti rosseggianti, musetti di gattino, orchidee carnose e timide violette.

Mi chiedo: se Leopardi avesse buttato “L’infinito”, ancora fresco d’inchiostro, sulla bacheca di Facebook, quanti “mi piace” avrebbe ottenuto? Probabilmente molti, ma, sotto, i suoi “amici” non avrebbero resistito nell’aggiungere “smiley”, cuoricini, link a sagre gastronomiche collinari e recital letterari strapaesani. Soprattutto, c’è da giurarlo, qualcuno, ricorrendo a Google Maps, avrebbe infilzato l’ermo colle sulla mappa con precisione satellitare.

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