Lo squillo

Lo squillo

Lo squillo”, non “la squillo”: quindi non aspettatevi alcun approfondimento politico. Lo squillo cui faccio riferimento è quello del mio telefonino. Chi mi sta chiamando, dite? Quello lo so. Il problema è un altro.
La tecnologia, mescolata con le umane fallacie, crea situazioni ridicole. Per esempio, che cosa fate quando non sapete dove avete lasciato il telefonino? Chiamate voi stessi, confessatelo. Chiamate voi stessi con il telefono fisso o, peggio, con un altro telefonino preso a prestito da chi, chiunque sia, passandovelo vi rivolge un'occhiata ironica.
Ma ecco che avete chiamato voi stessi. Se foste me - e credo che almeno un poco lo siate - ora starete tendendo l'orecchio in cerca del richiamo del vostro apparecchio e, se per caso l'operazione si svolge in pubblico, vi rammaricherete di aver scelto “Viva la pappa col pomodoro” come suoneria. Ma da dove viene, il richiamo? Perché lo sentite, questo è certo, lo sentite benissimo. E però proviene da un punto indeterminato, vaghissimo, addirittura improbabile, come l'interno della stufa a pellet o, peggio, lo stomaco del gatto. Così cercate e cercate, ascoltando quel richiamo lontano, pensando alla mappa dei vostri spostamenti che, tuttavia, mai coincide con l'apparente provenienza del richiamo. La caccia continua, sempre più disperata e frustrante, finché, invariabilmente, la moglie non trova il dannato coso sotto un cuscino del divano. Ma stavolta no: stavolta voglio trovarlo da solo. Lo sentite? Squilla in un posto preciso, tra la cucina e Urano.

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