Il mondo deve aver preso un bello scossone perché mentre la Scozia parla (e vota) di indipendenza, noi non facciamo altro che parlare del tempo. Se non ricordo male, in passato accadeva il contrario: noi parlavamo (e basta) di indipendenza, loro discettavano sul tempo. Non solo gli scozzesi: ci davano dentro anche gli inglesi e i gallesi, dimostrando così che almeno una base per l'unità della Gran Bretagna esisteva eccome.
Discutevano del tempo, gli abitanti dell'Isola, anche perché c'era molto da discutere: la mutevolezza del cielo incrementava la frequenza dei bollettini e la necessità di commentarli. Inoltre il tempo, pur cambiando repentinamente, non conosceva manifestazioni estreme: ignote erano la siccità così come i grandi nubifragi. Le condizioni del cielo passavano da pioggia intensa a pioggia leggera, nebbia, nebbiolina, nuvoloso, parzialmente nuvoloso e, in qualche ora di grazia, sereno. Variazioni sensibili ma ragionevoli, di cui veniva spontaneo parlare con ragionevolezza e sensibilità.
Caratteristiche che dovremmo adottare anche noi, ora che il vezzo di parlare del tempo è disceso fino alle nostre valli. Purtroppo, noi non parliamo affatto del tempo che fa: piuttosto, parliamo del tempo che dovrebbe fare tra qualche ora o tra qualche giorno. Bruciamo il tempo atmosferico come consumiamo quello cronologico: proiettati a ciò che verrà, ignari e ignavi nel presente. L'app meteo nel telefonino annuncia informazioni di vitale importanza fino a quando non diventano concrete: il “domani” sul display diventa “oggi” ma allora non importa più, perché siamo già passati a un altro domani. E siccome le app meteo sbagliano perché non sono fatte della stessa natura elettronica del telefonino, come noi crediamo, ma vengono alimentate da osservazioni umane, allora ci risentiamo come per un servizio non reso: il concerto annullato, lo sportello chiuso. Ce ne andiamo, la testa china sullo smartphone: “Vediamo che tempo farà domani”. La risposta è facile: lo stesso di sempre ma, per noi, lo stesso di mai.
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