Così tante ragioni ci ha dato la politica per renderci sospettosi nei suoi confronti che, è storia di questi anni, il sospetto e l’indignazione sono diventate reazioni pavloviane, abiti culturali e atteggiamenti ideologici. Ma quali errori ha commesso la politica, in passato, per renderci così ostili?
Alcuni sono ovvi: l’assessore sorpreso con la mazzetta in bocca non fa mai una bella figura. Allo stesso modo stride, in tempi di crisi (e anche in tempi di non-crisi) il pervicace attaccamento al privilegio, alla smisurata prebenda e al superfluo rimborso spese.
C’è di più: la politica potrebbe essere così stracciona e inaffidabile, tale da guadagnarsi tutte le nostre antipatie, perché guarda troppo al futuro. Lo fa per una ragione forse inconscia e forse no, ma che trova conferma in una ricerca scientifica: la politica parla insistentemente del futuro per farci dimenticare il passato e, con esso, tutte le infamie e gli errori che vi ha sepolto.
È un meccanismo, questo, studiato a fondo all’Università di Santa Cruz, in California. Una serie di test ha accertato come incoraggiare qualcuno a pensare al futuro - ovvero a progettare, immaginare, ipotizzare e persino fantasticare - abbia l’effetto collaterale di disconnetterlo dal passato.
Se questo congegno psicologico funziona a livello individuale non c’é ragione perché non si confermi su grande scala. Il ripetersi delle infatuazioni di massa per idee validate soltanto dalla retorica più vuota, il ricadere ciclico nella furia e nella miseria, potrebbero essere frutto di questo dissociazione mentale. Dunque, chi è in grado di leggere gli errori del passato, comprenderli in tutta la loro gravità e circoscriverli nella loro follia, non sa programmare un futuro immune da tanto scempio; al contrario, chi si butta anima e corpo nel futuro, soffre di una pericolosa amnesia culturale per ciò che fu. Per vivere e sperare, non resta che lo stretto cammino del presente.
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