Quello dei peccati è un panorama instabile. Tanto è vero che la Chiesa, che di peccati si occupa (stavo per scrivere «se ne intende», ma avrei dato del mio pensiero un’impressione sbagliata), ha promosso un “corso di aggiornamento” per sacerdoti.
Sorridete pure, se volete, ma la notizia è vera e, dal punto di vista dei religiosi, molto urgente e concreta. Lo dimostra la due giorni di studi organizzata al santuario di San Gabriele (Teramo) in modo da permettere ai confessori di confrontarsi con i peccati commessi attraverso Internet. Tra le colpe tecnologiche di cui i sacerdoti dovranno tener conto, si citano «l’uso ingannevole delle chat, il cyberstalking, la creazione di fake negli account o nelle mail, gli hackeraggi contro privacy e sicurezza, la pirateria e la frequentazione di siti porno».
Nel constatare che, dal latino con cui venivano educati, i sacerdoti oggi hanno bisogno anche di un corso intensivo di inglese (scusate: di una “full immersion”), nel dar battaglia a queste nuove forme di trasgressione probabilmente dovranno anche prepararsi all’eventualità che il peccatore, peccando a distanza, sarà incline a considerare il peccato più veniale di quanto non realmente sia. Sarà dura, insomma, convincere un mentitore “virtuale” che la sua trasgressione è grave esattamente come quella commessa dal più tradizionale bugiardo.
È da considerare, inoltre, che questi peccati moderni non sostituiscono quelli tradizionali, i quali continuano a essere praticati con instancabile, anche se obsoleta, alacrità. Per questa ragione, papa Francesco ha voluto diffondere un ammonimento a preti e suore perché non cedano alla millenaria tentazione del pettegolezzo: «Se vi viene voglia di sparlare, mordetevi la lingua. Forte!»
Il peccato, insomma, è un oceano che s’allarga e sale di livello. Anche per i non credenti è difficile considerarsi all’asciutto: prima o poi uno tsunami morale potrebbe bussare alla porta di tutti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA