L'odore della verità

L'odore della verità

Per anni, il mondo intero ha sorriso con indulgenza alla futile ipocrisia delle «bombe intelligenti». Sapevamo tutti che, per quanto la tecnologia permettesse di scagliare ordigni con sempre maggior probabilità di cogliere l'obiettivo, la guerra non per questo sfuggiva al suo tradizionale scenario di orripilante macello. Soprattutto, ci sembrava che la definizione di «bombe intelligenti» avesse raggiunto il paradosso perfetto, l’ineffabilità assoluta e, volendo, perfino la più spericolata sfacciataggine possibile. Nient’altro che illusione.
Ancora non avevamo sentito le definizioni più recenti. Non importa quanti bombardieri sorvolino la Libia, non importa quanti razzi vengano scagliati dalle portaerei su Tripoli e dintorni: nulla al confronto della guerra tra i linguisti, impegnati a studiare l’eufemismo più delicato, la circonlocuzione più soffice per dire che, sì, bombardiamo, ma non proprio, perché, messa così, sembra che andiamo a far danno mentre lungi da noi far del male a qualcuno.
I francesi, per esempio, hanno sostengono di lanciare bombe «non esplosive». A cosa serva una bomba non esplosiva, non lo dicono: probabilmente è un segreto militare. Spero che, a questo punto, gli altri Paesi della coalizione si scatenino per emulazione: lanciafiamme rinfrescanti, pallottole non perforanti, razzi che, raggiunto l’obiettivo, profumano l’ambiente esercitando nel contempo un’utile funzione antitarme. Anche se, temo, difficilmente sarà possibile coprire a lungo l’odore della verità.

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