Lord Grantham

Grazie a una meravigliosa invenzione chiamata Dvd - dischetto che si infila in un apparecchio collegato al televisore in modo che, da quest’ultimo, spariscano le D’Urso e i Giletti - mi sto gustando in questi giorni una serie tv inglese intitolata "Downton Abbey".

Ambientata nei primi anni del Novecento, la fiction, un gioiello di sceneggiatura e un’ammirevole palestra di recitazione, racconta le vicende di una famiglia aristocratica, i Crawley, da due punti di vista: quello della famiglia stessa e quello dei servitori. In una scena, il capofamiglia Lord Grantham si trova a colloquio con uno scoraggiato servitore. Il membro della famiglia che gli è stato affidato, un giovane di idee moderne, rifiuta i suoi servigi ed egli, educato alla servitù, sembra aver smarrito ogni punto di riferimento e si dice pronto a un passo inaudito: cambiar mestiere. Lord Grantham, dopo avergli promesso di intercedere presso il riottoso congiunto, lo invita a scrollarsi di dosso ogni sentimento ombroso e rinunciatario: «Coraggio, vecchio mio: tutti abbiamo una parte da sostenere».

Così, in poche parole, Lord Grantham spiegava il segreto, epidermico e profondo nello stesso tempo, di un mondo che da secoli sopravviveva a se stesso: occorre andare avanti con le forme e i rituali soprattutto quando essi ci sembrano vuoti, quando appaiono inutili e superati. Tutto non è altro che una recita: sta agli interpreti renderla credibile e, in ultima analisi, vera.

Solo pensando a questa scena di "Downton Abbey" ho potuto salvare dal ridicolo le immagini, viste ieri, di corazzieri e altari della Patria, di cannoni a salve e di giuramenti, di reparti schierati e di stendardi. Poco incline per natura alla retorica, non ho mai amato gli orpelli in cui si avvolge lo Stato. Ieri mi sono sembrati più vacui che mai e proprio per questo - in una fase in cui tutti sono senz’altro chiamati a fare la loro parte - indispensabili.

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