L'orsacchiotto

L'orsacchiotto

Nei secoli, numerosi personaggi di ingegno hanno cercato modi diversi per affermare una fondamentale verità, ovvero che l’uomo ha bisogno degli altri uomini. Il concetto è stato scritto, dipinto, cantato, scolpito, messo in rima, in musica e in immagini. Chi lo ha diffuso è stato di volta in volta chiamato testimone, profeta, scrittore, poeta, artista e ultimamente anche psicologo.

Ultimo in ordine cronologico, per il momento anello terminale in questa catena di ripetute testimonianze, è un ricercatore chiamato Kenneth Tai, il quale ci fa osservare come gli esseri umani, qualora privati della capacità di socializzare, cadano in stati depressivi pericolosissimi, ritrovandosi prigionieri di un circolo vizioso: più si è esclusi dal consorzio umano, più il nostro umore si fa nero e più il nostro umore si fa nero più ci è difficile ritrovare un rapporto con gli altri.

Tai sostiene che questo circolo può essere spezzato e che per farlo non c’è bisogno di molto: basta accarezzare un orsacchiotto. Per quanto bizzarra la trovata possa sembrare, egli è riuscito a darne prova in un esperimento. Qualche coccola a un orsacchiotto è sufficiente a rinfocolare la fiammella della socialità: dal pupazzo si passerà a salutare, sia pure timidamente, un estraneo e da questo ancor pudico contatto germoglierà una relazione, poi un’altra e un’altra ancora, fino a quando non sarà ricostruita un’intensa, fitta, costante e piena comunicazione con gli altri esseri umani. E sarà il momento di accorgersi che era meglio limitarsi all’orsacchiotto.

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