Ormai è evidente che i giornali vanno in cerca di scandali per pura abitudine. Cambiare impostazione di lavoro è sempre difficile: si incontrano resistenze, obiezioni, addirittura si corre il rischio di incappare in sabotaggi. Così, per non saper né leggere né scrivere (problema non estraneo a molte redazioni), i giornalisti, quando si imbattono in uno scandalo, lo piazzano ancora in prima pagina.
Naturalmente si tratta di malefatte, più che di scandali. Il termine “scandalo” implica infatti un avvenimento talmente oltraggioso da risultare quasi rivoltante: lo scandalo è un insulto portato all'intera società. Per questo, non può che essere occasionale e straordinario. Ciò che i giornali definiscono scandali sono episodi di ordinaria disonestà i quali, lungi dall'essere avulsi alla società al punto da offenderla nella sua interezza, ne rispecchiano invece la diffusa corruzione.
Prendiamo l'ultimo “scandalo”. Molti siti web d'informazione segnalavano ieri come l'Alitalia, o chi per essa, si fosse premurata di cancellare il logo - l'intera livrea, anzi - della compagnia dal velivolo uscito di pista a Fiumicino. Certo un gesto di “copertura” esecrabile e quasi ridicolo per la sua meschinità. Ma, scandaloso?
Pensiamoci. Non è molto, per esempio, che i partiti hanno cancellato il loro logo dall'Imu, tassa ormai tristemente priva di paternità e maternità. Quanti “loghi” sono poi rimasti sul buco di Mps, sui gretti rimborsi della Regione Lombardia e sugli intrallazzi della Regione Lazio? Quante livree di responsabilità ci sono sui disastri ambientali, sul naufragio della Concordia e su tutte le speculazioni grandi e piccole? D'accordo, si tratta di livree virtuali e non materiali come quella dell'aereo di Fiumicino, ma davvero fa differenza? Io dico di no, e sostengo che l'ultimo scandalo che ci rimane è quello di aver ucciso lo scandalo stesso. Se non siete d'accordo, se ritenete quest'opinione oltraggiosa, considerate pure il mio nome cancellato da questo articolo.
Naturalmente si tratta di malefatte, più che di scandali. Il termine “scandalo” implica infatti un avvenimento talmente oltraggioso da risultare quasi rivoltante: lo scandalo è un insulto portato all'intera società. Per questo, non può che essere occasionale e straordinario. Ciò che i giornali definiscono scandali sono episodi di ordinaria disonestà i quali, lungi dall'essere avulsi alla società al punto da offenderla nella sua interezza, ne rispecchiano invece la diffusa corruzione.
Prendiamo l'ultimo “scandalo”. Molti siti web d'informazione segnalavano ieri come l'Alitalia, o chi per essa, si fosse premurata di cancellare il logo - l'intera livrea, anzi - della compagnia dal velivolo uscito di pista a Fiumicino. Certo un gesto di “copertura” esecrabile e quasi ridicolo per la sua meschinità. Ma, scandaloso?
Pensiamoci. Non è molto, per esempio, che i partiti hanno cancellato il loro logo dall'Imu, tassa ormai tristemente priva di paternità e maternità. Quanti “loghi” sono poi rimasti sul buco di Mps, sui gretti rimborsi della Regione Lombardia e sugli intrallazzi della Regione Lazio? Quante livree di responsabilità ci sono sui disastri ambientali, sul naufragio della Concordia e su tutte le speculazioni grandi e piccole? D'accordo, si tratta di livree virtuali e non materiali come quella dell'aereo di Fiumicino, ma davvero fa differenza? Io dico di no, e sostengo che l'ultimo scandalo che ci rimane è quello di aver ucciso lo scandalo stesso. Se non siete d'accordo, se ritenete quest'opinione oltraggiosa, considerate pure il mio nome cancellato da questo articolo.
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