L’unica differenza

Non ho visto il film “Minions” e non credo che andrò a vederlo: mi sentirei un po’ ridicolo nella sala buia davanti a uno schermo che rimanda le avventure di esserini galli.

È ben vero che ci sono modi ben peggiori di sprecare il proprio tempo, perfino senza arrivare all’estremo di accendere la televisione e cercare un talk-show, e tuttavia un film d’animazione, che credo di immaginare un po’ scioccherello, anche se a suo modo divertente, non penso valga la spesa.

Se non mi convince “Minions” mi è possibile però amare “i Minions”: non abbastanza da seguirli per due ore al cinema, ma quel tanto necessario per apprezzarli in quanto caricature delle goffaggini sociali e dei vezzi umani.

Per quei due o tre che non dovessero conoscerli, i Minions sono piccole creature gialle a un occhio o due - differenza che non sembra sottendere ad alcuna distinzione di personalità o ruolo -, vivaci e piuttosto maliziose, capaci di un chiacchiericcio continuo che, nonostante lasci affiorare di tanto in tanto qualche parola di senso compiuto, non arriva neppure al grammelot. Da sempre sono in cerca di un “padrone cattivo” al quale offrire i loro servigi: un processo costellato da incidenti, disastri, fallimenti, umiliazioni.

Non mi sento di tentare una spiegazione del successo di questi pupazzetti sulla base di un’empatia con l’umanità tutta: diciamo che l’empatia la vedo io e tanto mi basta per considerare con benevolenza le creature inventate da Ken Daurio e Cinco Paul per gli “spin off” dal film “Despicable me”.

I Minions sono nostri fratelli sottopelle: formano un apparente fronte compatto ma sono pronti a dividersi in mille rivoli, discutono in continuazione senza arrivare mai al punto, non combinano niente e adorano la perfidia. L’unica differenza è che loro hanno successo, almeno al cinema.

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