Sul fatto - statistico e, direi, scientifico - che tanti giovani, al referendum, hanno votato per bocciare la riforma costituzionale proposta dal governo Renzi, si sono sentite interpretazioni variegate. Tutte però con un comune denominatore: quello di far comodo a chi le ha espresse.
Nel tentativo (velleitario) di rilanciare l’analisi su basi nuove, mi riprometto qui di esaminare l’opposizione dei giovani alla luce di un dato fino a oggi - forse - poco considerato. Non si tratta, purtroppo, di un elemento rasserenante, tutt’altro. Esso indicherebbe che i giovani - comunque, una parte consistente di essi - non hanno votato “No” per difendere l’integrità di una carta costituzionale che attesta e garantisce l’esercizio della democrazia nel nostro Paese. Piuttosto, hanno votato “No” perché esasperati da un governo (ma più in generale dalla politica e, forse, anche dal sistema tutto) che pretende da loro esercizi estremi di adattabilità e di sacrificio senza offrire niente in cambio e, soprattutto, senza mai dare il buon esempio.
La difesa della democrazia, in questo scenario, verrebbe in secondo piano perché - non sono io a dirlo - essa non è più, per i giovani, un valore fondamentale. Vedo (anzi, sento) levarsi un coro di protesta e mi affretto a precisare: certo, ci sono ancora giovani che amano la democrazia, ma studi e sondaggi attestano che un crescente numero di ragazzi non la considera più fondamentale.
Negli Stati Uniti, solo un terzo dei giovani - “millennials” o poco più grandi - ritiene la democrazia un valore «essenziale», gli altri sono aperti a sistemi autoritari. In Europa le cose vanno meglio, ma non ... meglissimo. Tanti, troppi, sarebbero disposti a barattare la democrazia con la «soluzione» ai loro problemi. L’equivoco, forse, sta nel fatto che né la democrazia né la dittatura sono soluzioni, ma solo metodi attraverso i quali cercare soluzioni. E il primo metodo è l’unico che tiene conto delle vite di chi lo applica.
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