Sempre più spesso capita di intavolare discussioni a sostegno (o a opposizione) dei supporti digitali. Meglio l’e-book o il libro tradizionale, meglio la classica scaffalata di cd e dischi o i “download” o addirittura Spotify e simili?
Alle osservazioni sui non pochi vantaggi dei digitale (specie in termini di costo e immagazzinamento), i tradizionalisti replicano con scuotimenti del capo e repentine fughe nel nostalgico e nel poetico: il profumo della carta, il rumore della puntina sul disco e poi il suono, certo il suono: decisamente più “caldo”. Obiezioni che denunciano soprattutto una resistenza al cambiamento che gli psicologi, dopo approfondito esame, sembra siano in grado di spiegare.
Una ricerca pubblicata dal “Journal of Consumer” ha cercato di stabilire perché ai beni “fisici” (quali appunto libri e dischi) è attribuito in generale un valore superiore a quelli digitali anche se, in effetti, forniscono esattamente lo stesso servizio. In estrema sintesi la risposta è questa: i beni fisici vengono percepiti come un’estensione di noi stessi, quelli digitali no.
Come un vestito che, indossato, pensiamo trasmetta al prossimo qualcosa di noi, così a una libreria ben fornita attribuiamo la facoltà di rappresentarci, mentre la collezione digitale del Kindle, in questo, fallisce. Insomma, se guardo la mia libreria penso che essa sia parte di me e chi volesse conoscermi dovrebbe considerarla. Magari senza necessariamente sapere che quella copia dell’“Uomo senza qualità” lì in bella vista è dal 1987 che aspetta di essere aperta.
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