Sarò distratto io, e certamente lo sono, ma da qualche tempo non sento più porre l’interrogativo se, da questa epidemia, usciremo migliori. Si può osservare che non ne siamo ancora usciti, e che dunque è presto per trarre conclusioni sul miglioramento - morale, immagino - dell’umanità a causa della prova inflittale dal Covid-19. E tuttavia se non siamo fuori, bisogna ammettere che l’uscita sembra molto vicina, o forse dovrei dire che la percezione dell’uscita, affidabile o illusoria, è avvertita da un gran numero di persone. A quel che si vede passeggiando e seguendo notiziari e social, i centri urbani sono piuttosto affollati, in parchi e spiagge è tornata l’animazione e, segno sicuro della presenza di vita sul pianeta, Instagram esibisce in gran numero scatti di aperitivi e apericena.
Su base empirica potremmo dunque tentare di rispondere alla domanda sul supposto miglioramento umano, una questione così persistente durante le ore più buie del lockdown da far credere di essere assolutamente urgente. Ebbene, una prima valutazione sommaria porterebbe a dire che no, non siamo migliorati: ci muoviamo tutti spinti dalle motivazioni che ci hanno sempre spinto e che in qualche caso ci inducono all’egoismo e in qualche altro ci invitano alla generosità. Se qualcosa abbiamo guadagnato, dobbiamo pensare che sia una certa diffidenza per le domande sul miglioramento dell’umanità e, in generale, per tutte quelle questioni che, sotto il premere di circostanze eccezionali, sembrano diventare scottanti.
Mi chiedo se anche in passato, nel corso di eventi gravissimi, la comunità umana abbia sentito il bisogno di porsi la stessa domanda. Durante l’assedio di Alesia Vercingetorige aggiravasi forse tra i guerrieri stremati assicurando loro che quella durissima prova li avrebbe resi migliori? E, nel caso, come si dice «piantala di dire bischerate» in gallico?
Nella miseria, sotto le bombe, minacciati dall’acqua e dal fuoco, decimati dalle malattie: in tutte queste circostanze, nei secoli, gli uomini hanno sempre sperato di “uscirne migliori”? E se, per ipotesi, così è stato, attraverso quanti miglioramenti è passata l’umanità, anche solo contando gli ultimi cinquemila anni di storia?
Parecchi, si direbbe, visto che l’avventura umana è certamente costellata di disgrazie. Tanti miglioramenti progressivi, dunque, per arrivare all’uomo come è oggi. Un’osservazione mi sovviene spontanea: se l’uomo di oggi è il prodotto di cinquemila anni di costanti miglioramenti, come doveva essere quello di partenza? Che razza di infidi bruti doveva essere quella dei nostri più lontani antenati?
Probabilmente era invece gente come noi: spaventata, allora anche più di oggi, e incline a speranze un poco assurde, ma utilissime a farsi coraggio nella tormenta. E anche pronta a riconoscere che in fondo del concetto di “uscirne migliori” la parte che conta è “uscirne”.
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