Ma che rabbia?

Ma che rabbia?

Troppo spesso vado a scartabellare tra gli studi psicologici. Non riesco a trattenermi: finisco quasi sempre per trovare spunti interessanti, se non addirittura entusiasmanti. Come definire altrimenti una ricerca prodotta dalla prof. Maia Young, assistente in un’importante facoltà americana di management?
Lo studio che porta la sua firma ribalta nientemeno che il concetto stesso di rabbia. Secondo Young e i suoi colleghi, l’ira è in realtà un’espressione di razionalità. Approfonditi esperimenti hanno dimostrato che, al contrario di quel che si crede, in una discussione chi cede a uno scatto d’ira non è affatto lontano dal riconoscere la bontà delle posizioni altrui; è anzi sul punto di assimilarle. La rabbia sarebbe dunque una sorta di stadio transitorio, un vivace passaggio da una fase di disaccordo a una, ben più placida, di ritrovata comprensione. Molto più lontano da noi, osserva Young, è chi mantiene le sue posizioni con controllato distacco.
Certo, si tratta di una notizia sconvolgente: la rinnovata luce sotto cui ora cade la rabbia porta a riconsiderare molte cose, inclusi episodi del nostro passato che credevamo di aver archiviato in via definitiva. A me, per esempio, è venuta in mente una scena vista a scuola, quando un compagno, tutto rosso in faccia e sbraitante, arrivò ad esprimere la sua totale approvazione nei confronti del ragazzo che l’aveva chiamato «ciccione» inseguendolo per tutto il cortile e, certo per manifestargli incondizionato appoggio, finì per prenderlo a sberle.

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