Ma di che colore è la regione di Königsberg?

Incomincio questo articolo alle ore 15:11 (ora Standard dell’Europa centrale) di sabato 19 dicembre 2020, giorno del Calendario gregoriano, anno 1468-1469 secondo il calendario armeno, 5779-5780 per quello ebraico, 1441-1442 per quello islamico e 4716-4717 per quello cinese. Mi trovo a 45°45’49”68 latitudine Nord e 09°2’11”40 longitudine Est, a circa 327 metri sopra il livello del mare. La temperatura nella stanza è di 20 °C (68 °F). Il colore della Regione circostante, allo stato, è giallo.

E potrei così continuare a lungo a tracciare, mappare, definire, collocare astronomicamente, temporalmente, storicamente e amministrativamente, a precisare attraverso toponomastica e pertinenza catastale, perfino a inseguire le coordinate astrologiche (occidentali e cinesi).

Potrei, certo, ma servirebbe? Alla fine di tutto quel lavorio mi troverei in un luogo più definito, più sicuro, più familiare? Ne dubito e oggi come non mai. Nei bailamme dei decreti governativi, tra regioni che cambiano colore più spesso dei semafori, tra incertezze, disguidi, paradossi e assurdità, si fa strada l’idea che non ci potrà mai essere l’ordine assoluto, il perfetto regolamento della vita, la saggezza codificata che non solo segue i nostri passi ma appena li precede, impedendoci così di scivolare, di smarrire la strada, di precipitare.

Nel tentare in affanno di regolamentare il Natale, festa che al netto degli interessi economici si regge tutta sui sentimenti familiari, la politica ha infine incontrato il proprio capolinea. Ci sarà stato, da parte delle autorità, anche un bel carico di incompetenza, paternalismo, miopia e arroganza ma, senza per questo fare sconti a nessuno, bisognerà ammettere che la materia era perfettamente ingovernabile e che, pertanto, un governo poteva rimediarci soltanto una figuraccia.

Tutto ciò che ci regola, ci guida, ci aiuta a convivere, tutto quanto cerca di assicurare giustizia, ordine, armonia, serenità e pace si scontra contro lo stesso limite della sua rigidità. Non si regola il passaggio dei Re Magi come fosse il traffico sulla tangenziale perché di mezzo c’è la tradizione, ci sono i legami familiari, i doveri sociali, il desiderio di intimità e di fuga dal reale. È allora scontato che, davanti a decreti cervellotici e a regole particolarmente bizzarre, ma comunque davanti a decreti e regole, scatti un moto di ribellione, di insofferenza e di rabbia.

Cercare di conciliare il Natale con le misure anti-Covid si è rivelata un’impresa ben al di sopra delle facoltà intellettuali, già piuttosto inadeguate, di chi governa lo Stato e le Regioni: va detto però che la causa di questo fallimento è più filosofica che pratica.

Forse l’errore è che da ormai quasi un anno stiamo aspettando il Decreto perfetto, che tutto regoli e tutto disponga, che ci faccia marciare come soldatini lontano dal contagio in un futuro perfettamente sterilizzato e vaccinato. Siccome questo Decreto non arriverà mai, non con Conte e non con un redivivo Churchill, bisognerà fare affidamento su vecchi strumenti: la ragione, la coscienza, la vecchia legge morale di Kant. Il quale, diciamolo, del colore della regione di Königsberg se ne sbatteva altamente.

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