Pare che in Francia qualcuno si sia arrabbiato. Non con Salvini, per una volta, ma con Beyoncé e si potrebbe commentare che, arrabbiatura per arrabbiatura, c’è stato un deciso salto qualitativo. O forse no, perché la ragione dell’irritazione non risiede nella gravissima questione dei migranti, o delle sempre più divergenti vedute di Italia e Francia sui destini dell’Unione europea (Beyoncé non risulta essersi mai espressa in proposito), ma sull’uso del Louvre.
Il quale Louvre, lo sappiamo tutti, è un museo, ma questo non significa che possa e debba espletare solo la funzione tradizionale dei musei, e se non sapete quale uso alternativo si può fare di un museo, oltre a quello di dispiegarci muri sui quali appendere i quadri, vuol dire che non appartenete a questo secolo e se non appartenete a questo secolo potreste essere due cose: tagliati fuori o maledettamente fortunati. Se grazia divina vi è concessa, anche entrambe le cose.
Comunque sia, gli impieghi alternativi di un museo come il Louvre sono molteplici: sede per sfilate, set cinematografici e, come ha dimostrato Beyoncé, sfondo per videoclip musicali. In compagnia di Jay-Z, la cantante ha girato nel Louvre il filmato che accompagna la canzone “Apeshit”, i cui primi versi, riportati fedelmente dai siti musicali, sono certamente illuminanti: «Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah /Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah/ Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah/Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah/Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah/Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah/Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah/Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah».
Ma non siamo qui per dedicarci ad analisi letterarie, semmai per cercare di capire se le proteste dei francesi indispettiti per l’oltraggio pop portato al loro grande museo abbia senso “oui ou non”. Nel mio petit, penso che il treno del pop è partito da un pezzo e l’ostinazione dei francesi nell’inseguirlo sarà certo ammirevole ma è anche del tutto vana.
Mi sembra di poter dire addirittura che la distinzione tra ciò che può definirsi pop e ciò che non può, è del tutto scomparsa. Se la Gioconda, così come altre opere conservate al Louvre (tra cui la Venere di Milo, la Nike e “Il Giuramento degli Orazi” di Jacques Louis David) appaiono nel video davvero non c’è scossa che possa sollevare uno scandalo.
La Gioconda, così come tante altre testimonianze dell’arte, non è più un’opera ma è un icona e delle icone si fa l’uso che più aggrada e conviene: Mona Lisa appartiene alle magliette e alle tazze tanto quanto le facce di Che Guevara e Jim Morrison. Beyoncé non ha fatto altro che avvicinarsi all’originale, ma solo per ricavarne un’altra copia, l’ennesima,certo non la più rilevante, nell’era della riproducibilità vorticosa. Forse il suo video servirà, inconsapevolmente, a rappresentare questa epoca in cui tutto si mischia, scavalcando i secoli e la Storia, i pensieri e la filosofia: la Gioconda, accanto alla Nike, vicina a David e chissà, a due passi da Van Gogh e Warhol. Per distinguere una cosa dall’altra e per seguire il percorso che, in tortuose volute, le collega tutte, bisogna studiare. Ma questo, purtroppo, non è ancora pop come si vorrebbe far credere.
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