Vorrei congratularmi, buon ultimo, con i responsabili politici e operativi della campagna governativa sul “fertilityday”. Da oggi appartengono a un club esclusivo, per quanto discretamente affollato: quello che raccoglie coloro che hanno promosso campagne di marketing incappate nell’“epic fail”.
Traduciamo subito l’espressione inglese: “fallimento epocale”. Campagne pubblicitarie, iniziative di sensibilizzazione, promozioni commerciali: ognuna di queste iniziative può essere un “epic fail” se il messaggio, invece di fare centro, cade nel ridicolo, oppure suscita indignazione e scandalo.
Nel caso del “fertilityday” perfino il tema è scivoloso, perché percepito come un’indebita (e retrograda) incursione nella vita privata. Rischiosa la premessa, sbagliato lo svolgimento: gli slogan approvati dal ministero per la Salute (e la visualizzazione grafica che si è voluto conferire loro) sono talmente goffi da apparire falsi, imbastiti da un autore di satira per mettere in ridicolo l’idea e, nello stesso tempo, il consesso ministeriale che la promuove.
L’infelice sortita del “fertilityday” ha provocato tanta ilarità quanto stupore. Eppure, c’è chi ha fatto disastri simili, se non peggiori. Nel 1999 uno specifico studio commissionato dalla Philip Morris sottolineò con enfasi gli «effetti benefici» del fumo sull’economia della Repubblica Ceca. Le sigarette avevano provocato morti premature e le morti premature, si sa, sgravano il bilancio dello Stato di significative spese per sanità e pensioni. Investita da un’ondata di indignazione, la Philip Morris si scusò ma il danno era fatto.
Dubito che il governo italiano si scuserà per il “fertilityday”: robuste ancore politiche e ideologiche gli impediranno di farlo. In ogni caso, cambierebbe poco: l’insofferenza per ogni forma d’autorità è ormai tale che la stessa definizione di “governo” ci irrita. A governarci, oggi, è spesso solo la nostra deplorazione.
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