Credo che Bersani fosse perfettamente sincero nella sua gioia quando, davanti a microfoni e telecamere, ha definito quella di domenica una giornata “magnifica”. L'aggettivo “magnifico” lo applicava al risultato delle primarie del centrosinistra, consultazione alla quale hanno partecipato circa quattro milioni di italiani.
“Magnifico”, dal punto di Bersani, è che quattro milioni di persone abbiano pensato di ritagliare un momento da dedicare alla scelta di un eventuale leader del Paese e “magnifico”, soprattutto, è che l'idea di consentirlo sia venuta a lui. Potrei sbagliare ma in questo pensiero, e nella smagliante esultanza scelta per esprimerlo, sembra ci sia ancora un residuo, probabilmente involontario, di populismo d'élite, il compiacimento di chi riconosce in sé grazia sufficiente a permettere agli altri di esprimere la propria opinione: come se non fosse un diritto fondamentale, un punto di partenza, ma un traguardo in se stesso, un approdo e non un abbrivio.
Questo porta a sottovalutare il fatto che, per i più, le primarie siano state un duello risolutore in seno al Pd e non al centrosinistra tutto e che tra i candidati il “nuovo” tanto agognato non si è ancora visto (Renzi forse non lo sa, ma di lui esiste da tempo un perfetto e rivelatore ritratto preventivo nell'epocale serie tv “The Wire”: il moderno demagogo Tommy Carcetti, sindaco giovane e ambizioso).
Non bisogna però peccare di avarizia mentale. Sarebbe ingeneroso non riconoscere che le primarie, del Pd o del centrosinistra, assomigliano sempre di più a una consultazione vera, anche se non ancora del tutto libera, urgente anche se non ancora decisiva. Il problema è che, dietro, si intravedono i pesanti ingranaggi del partito, pronti a influenzare, se non a interferire, e poco disposti a mettersi da parte se così si esprimesse la volontà popolare. “Magnifica”, allora, sarebbe la disposizione sincera di un apparato finalmente pronto a trasformarsi da controllore in controllato.
“Magnifico”, dal punto di Bersani, è che quattro milioni di persone abbiano pensato di ritagliare un momento da dedicare alla scelta di un eventuale leader del Paese e “magnifico”, soprattutto, è che l'idea di consentirlo sia venuta a lui. Potrei sbagliare ma in questo pensiero, e nella smagliante esultanza scelta per esprimerlo, sembra ci sia ancora un residuo, probabilmente involontario, di populismo d'élite, il compiacimento di chi riconosce in sé grazia sufficiente a permettere agli altri di esprimere la propria opinione: come se non fosse un diritto fondamentale, un punto di partenza, ma un traguardo in se stesso, un approdo e non un abbrivio.
Questo porta a sottovalutare il fatto che, per i più, le primarie siano state un duello risolutore in seno al Pd e non al centrosinistra tutto e che tra i candidati il “nuovo” tanto agognato non si è ancora visto (Renzi forse non lo sa, ma di lui esiste da tempo un perfetto e rivelatore ritratto preventivo nell'epocale serie tv “The Wire”: il moderno demagogo Tommy Carcetti, sindaco giovane e ambizioso).
Non bisogna però peccare di avarizia mentale. Sarebbe ingeneroso non riconoscere che le primarie, del Pd o del centrosinistra, assomigliano sempre di più a una consultazione vera, anche se non ancora del tutto libera, urgente anche se non ancora decisiva. Il problema è che, dietro, si intravedono i pesanti ingranaggi del partito, pronti a influenzare, se non a interferire, e poco disposti a mettersi da parte se così si esprimesse la volontà popolare. “Magnifica”, allora, sarebbe la disposizione sincera di un apparato finalmente pronto a trasformarsi da controllore in controllato.
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