So che è difficile crederlo, specie quando si assiste a un talk show o, per sventura ancora più bizzarra, alla televendita notturna di orologi da polso, ma ogni attività umana è gestita dal cervello, e il cervello è ciò che arricchisce (o impoverisce) ogni nostra esperienza. Più ancora, il cervello ci definisce e in esso risiede, da qualche parte, quell’enigma filosofico (e storico) che si usa chiamare “libero arbitrio”.
Quanto è “libero” il libero arbitrio? E quanto può essere condizionato, ovvero imbrigliato e, nel caso, assoggettato al libero arbitrio di qualcun altro? Domande affascinanti, profondissime, alle quali però è difficile dare risposta perché, in realtà, è perfino difficile stabilire come e dove, a livello neurologico, scatta il meccanismo del prendere una decisione.
Questo, almeno, fino a ieri perché di recente un gruppo di ricercatori dell’Università di Stanford ha individuato e praticamente fotografato il momento in cui, nel cervello di alcune scimmie (sempre le prime a pagare lo scotto della nostra curiosità), accade ciò che, con più complessità, sottigliezza e, a volte, presunzione, si riproduce nell’homo sapiens: la scintilla (divina?) che presiede a una scelta piuttosto che a un’altra, a un’azione piuttosto che a un’omissione e, nel caso del sottoscritto, a una stupidaggine piuttosto che a una pirlata.
I ricercatori intendono fare un uso pratico di questa scoperta: essa, sostengono, aiuterà i tecnici a costruire arti artificiali più vicini agli originali modelli biologici, ovvero manovrabili direttamente attraverso il cervello. Il che sarebbe a dire: attraverso il pensiero.
Impresa, naturalmente, nobile e condivisibile. Che però induce, almeno in me, una considerazione sotterranea e un tantino inquietante: con il culto del corpo che abbiamo oggigiorno, l’importanza estetica che gli attribuiamo, il compito di rappresentanza al quale lo abbiamo eletto, dovremmo ricordarci che, in fondo, esso è solo una protesi della nostra mente.
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