Un malditesta è un malditesta, giusto? Sbagliato. Quando si tratta di curarlo, vi accorgerete che ci sono malditesta di marca e malditesta, per così dire, volgari o, se volete, mancanti di prestigio commerciale.
L'effetto placebo è ben conosciuto: si somministra al paziente acqua fresca o zucchero facendogli intendere che si tratta di una medicina e in un numero di casi statisticamente non irrilevante si notano dei miglioramenti.
Le medicine fino a oggi usate per dimostrare l'effetto placebo non erano affatto medicine, come si è detto: solo acqua o zucchero. Adesso si scopre che anche tra le medicine ci sono medicine placebo: quelle di marca. Una ricercatrice dell'Università di Auckland, in Nuova Zelanda, ha convocato un gruppo di persone sofferenti di emicrania per dimostrare che gli antidolorifici di marca curano il malditesta meglio di quelli generici. Non si tratta di diversa qualità del prodotto: l'elemento attivo usato era identico per tutti i pazienti. L'unica spiegazione possibile è che il farmaco di marca alimentasse fiducia e che la fiducia inducesse nell'organismo un processo benefico.
Passato un malditesta, ce ne sovviene un altro: quante volte e, in quanti casi, questo effetto placebo associato a una marca piuttosto che a un'altra ha agito in noi a nostra insaputa, modificando il nostro comportamento e le nostre scelte? Sappiamo tutti del prestigio, della fama e dell'alone quasi mitico che circonda certi marchi: dopo tutto, un vestito firmato ci sembra più elegante di un altro, identico, privo di etichetta altisonante. Ma molte altre cose, fuori dall'industria e dal commercio, portano marchi. Al punto che la reputazione di certi personaggi pubblici, oggi altro non è che un marchio: una sensazione, un'illusione e non necessariamente un sinonimo di qualità. Nella politica, nelle scelte legate a lavoro, sicurezza e perfino affetti oggi inseguiamo “marchi”. E lo dimostra pienamente il prezzo, altissimo, che invariabilmente paghiamo.
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