Notizie dalla crisi: la vostra “start up” è destinata a fallire. O quantomeno a mancare il successo che sperate possa ottenere. Non lo dico io. Purtroppo lo dice qualcuno che ha fatto bene i conti. Ma andiamo a capo.
Per “start up”, parlando in tutta rozzezza, si intende un “avvio di impresa”. Il sogno di molti aspiranti imprenditori è quello, ovvio, di avviare un’impresa di successo. Che cosa si intende per “impresa di successo”? Un’impresa, per esempio, che possa venire ammessa allo “Unicorn club”, ovvero l’esclusivo - e virtuale - consesso delle imprese di software fondate non prima del 2003 che hanno oggi un valore di mercato di almeno un miliardo di dollari. Per intenderci, Facebook è un’impresa “super-Unicorn”: vale oggi circa 100 miliardi di dollari. Ebbene, secondo chi ha fatto i conti di cui sopra, la percentuale delle imprese arrivate a tale traguardo è pari, negli Usa, allo 0,07 per cento.
Si dirà: non è che per forza bisogna arrivare al miliardo di dollari. Si dirà anche: non tutti producono software, ci sono altri campi, magari più modesti, dove misurarsi con il proprio spirito d’impresa. Verissimo: resta il fatto che quello 0,07 per cento buttato lì così, in faccia, è sconfortante e getta una luce bigia sulle tante storie di “successo ottenuto con il sudore” che si sentono in giro.
Ma perché è così difficile? Domanda da un miliardo di dollari e come tale ammessa di rigore allo Unicorn club. Un tempo le aziende avevano successo soddisfacendo i bisogni dei clienti. Quando non bastò più, si ingegnarono a realizzarne i desideri. Infine, dovettero inventare nuovi desideri per poi cercare di rivenderli.
La ricetta, oggi, è più complessa e comprende un misto di coraggio, preveggenza e casualità: nelle vertiginose svolte sociali che la tecnologia impone ai nostri tempi, si aprono qui e là inaspettate sacche di guadagno. Se vogliamo che rappresentino più dello 0,07 per cento bisognerà forse che, prima o poi, i tempi incomincino a seguire noi e non noi a seguire i tempi.
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