Come è ormai (mia) tradizione, eccomi arrivare il giorno dopo. Il Natale, io, lo commento il 26 dicembre, il Ferragosto il giorno 16 e il 25 Aprile, oggi. Questo mi dà un vantaggio: ascolto e leggo tutto ciò che gli altri dicono e scrivono sull'argomento e ne traggo spunti e osservazioni. Questo però mi dà anche uno svantaggio: la gente non ne può più di sentir parlare della ricorrenza di turno e mi salta a pie' pari. Poco male: diciamo che l'opinione resta “agli atti”; se qualcuno vorrà mai conoscerla, eccola qui.
Premetto che, nell'assoluto rispetto delle celebrazioni per la Liberazione, non ne avverto personalmente un'esigenza particolare. Il fatto è che fin da piccolo, grazie ai miei genitori, sono stato vaccinato contro il fascismo e, in generale, contro tutti i totalitarismi. Per oquesta ragione, credo di avere un'inclinazione naturale alla tolleranza, che non giunge però al punto di ammettere subdoli revisionismi. Il fascismo, per me, non era “anche un po' buono” o “non tutto da buttare”. Di fascio da fare, ce n'è uno solo: quello dell'erba necessaria per buttarlo via.
C'è anche un'altra cosa che urta contro la mia tolleranza: il ritornello, sempre più frequente, che impone di “superare i vecchi schemi”, ovvero di “smetterla con l'odio” e “basta con la destra e la sinistra”. Questo passaggio, peraltro auspicabile, non possiamo deciderlo a comando: certe reazioni dipendono dal fatto che fascismo e Resistenza non sono del tutto eventi storici: se appartengono a una Storia, è spesso solo quella delle famiglie, dei nonni e delle nonne. Sono ancora eventi personali e ancora disturbano. Non possiamo imporci di superarli come non possiamo ordinare a un raffreddore di “passare”.
Infine, sulle fanfare, i discorsi e i concerti, avrei da dire che, pur non avendo niente in contrario, per natura non mi suscitano un trasporto particolare. Mi pare si aspetti il 25 Aprile per prendere una bella medicina contro le dittature. Io consiglio la vaccinazione: è più sicura e dura più a lungo.
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