Leggo in un lancio d’agenzia che «sono state imbiancate le pareti dell’aula della prima corte d’Assise d’appello di Milano dove il 6 aprile si aprirà il processo per il caso Ruby nel quale è imputato Silvio Berlusconi».
Che cosa dire? Meno male che qualcuno ci ha pensato! All’apertura - o forse sarebbe meglio dire alla "prefazione" - del processo risultano accreditati oltre cento giornalisti, molti dei quali stranieri, e certo non potevamo permettere che si facessero un’idea negativa del nostro Paese giudicandolo sulla base di un muro scrostato. Così, grazie all’intervento di un ardimentoso manipolo di imbianchini, gli inviati potranno godersi le schermaglie tra un’accusa che dipinge il nostro presidente del Consiglio come un appassionato praticante del sesso a pagamento e una difesa che definisce la magistratura una cricca bolscevica e sovversiva, senza minimamente sospettare che, nel nostro Paese, ci sia spazio per altro se non immacolato ordine e levigata efficienza.
Pensateci: per un reporter è un momento distrarsi, perdere il filo, lasciar correre lo sguardo su un brano di vernice slabbrata, uno zoccolino unto o un soffitto punteggiato di muffa e - mentre in aula risuonano, ormai lontane e vaghe, parole come «prostituzione minorile», «concussione», bunga bunga», «culo flaccido» - maturare l’errata convinzione che l’Italia sia un Paese appena un poco meno meraviglioso di quanto, nel mondo, comunemente si crede.
Che cosa dire? Meno male che qualcuno ci ha pensato! All’apertura - o forse sarebbe meglio dire alla "prefazione" - del processo risultano accreditati oltre cento giornalisti, molti dei quali stranieri, e certo non potevamo permettere che si facessero un’idea negativa del nostro Paese giudicandolo sulla base di un muro scrostato. Così, grazie all’intervento di un ardimentoso manipolo di imbianchini, gli inviati potranno godersi le schermaglie tra un’accusa che dipinge il nostro presidente del Consiglio come un appassionato praticante del sesso a pagamento e una difesa che definisce la magistratura una cricca bolscevica e sovversiva, senza minimamente sospettare che, nel nostro Paese, ci sia spazio per altro se non immacolato ordine e levigata efficienza.
Pensateci: per un reporter è un momento distrarsi, perdere il filo, lasciar correre lo sguardo su un brano di vernice slabbrata, uno zoccolino unto o un soffitto punteggiato di muffa e - mentre in aula risuonano, ormai lontane e vaghe, parole come «prostituzione minorile», «concussione», bunga bunga», «culo flaccido» - maturare l’errata convinzione che l’Italia sia un Paese appena un poco meno meraviglioso di quanto, nel mondo, comunemente si crede.
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