Affronto il tema del raddrizzamento della Costa Concordia nella certezza che, ormai, mi sarà impossibile inciampare in allegorie scontate, cliché stinti e banalità assortite. Non dopo la pubblicazione, ieri su Facebook, di un post firmato da Enrico Mentana. Eccolo:
«Vediamo chi sarà il primo gonzo, politico o giornalista, a usare la Costa Concordia come metafora, per frasi geniali tipo “ora raddrizziamo la nave Italia”».
Visto che il buon Mentana, per fare lo spiritoso e l’intelligentone, si è sparato l’orrida metafora dritta in un piede, non c’è più ragione di temere la propria mancanza di originalità. Per questa ragione, nella certezza di non poter fare peggio, mi sento libero di far notare come tutta l’operazione, per quanto oggettivamente complessa e, purtroppo, innegabilmente affascinante, abbia suscitato un sentimento di euforia del tutto ingiustificato.
Il raddrizzamento della Concordia, raggiunto grazie a un sistema ingegnoso e a tecnici di sicura preparazione, ha tuttavia un difetto congenito: non rappresenta la realizzazione di un’opera ma il tardivo rimedio a errore. Tardivo e parziale: nel naufragio della nave morirono trenta persone che non ritroveranno la vita solo perché, ieri, ci siamo liberati del vergognoso relitto.
Definito da “La Stampa” uno «show mondiale», il recupero della Concordia non aggiunge prestigio al nostro Paese, si limita a stemperarne la vergogna. Ci sono ancora in giro comandanti incompetenti, allegroni e distratti pronti a incagliarsi ovunque e, senza timore di sfruttare metafore banali, precisiamo pure che non stiamo parlando strettamente di navigazione marittima.
Per carità, rimediare agli errori è sempre una bella cosa e farlo con stile è anche meglio: c’è da esserne contenti ma non fieri; soddisfatti, non orgogliosi. Da ieri, il nostro Paese non è “meglio”. È solo “meno peggio”. C’è differenza.
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